Federalismo, quella bandiera abbandonata dall'ultima Lega

Il nuovo corso "sudista" di Salvini può essere occasione per Parisi e Fi di rilanciare l'orgoglio delle Regioni

Federalismo, quella bandiera abbandonata dall'ultima Lega

Certo a Stefano Parisi, intento nella sua opera di rinnovamento anche programmatico e ideale di Forza Italia, non può essere sfuggita l'ultima idea del segretario della Lega Nord Matteo Salvini: rinunciare al Nord, almeno nella denominazione del movimento. La ragione della scelta - niente affatto condivisa, anzi apertamente contrastata dal più autorevole dei fondatori, il presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni - appare evidente a chi ha seguito le ultime spericolate mosse del leader leghista: espandere più decisamente la ricerca del consenso verso Roma e il Sud, procedendo nella metamorfosi nazionalista e lepenista.

D'altra parte Salvini ha da tempo abbandonato ogni aspirazione federalista. Anzi di federalismo, idea fondativa e ragione originaria della sua esistenza, la Lega non parlava più da tempo, dopo averla progressivamente deteriorata, riducendola di fatto a una ideologia padana anti-meridionale e a un gioco folcloristico a base di ampolle d'acqua del Po e di adunate sul sacro pratone di Pontida. Le idee di Gianfranco Miglio per non scomodare Carlo Cattaneo - sono dimenticate, cancellate, perfino censurate. E invece, caro Parisi, partendo da Milano questo è il momento di tornare a parlare di federalismo o, se si preferisce, di autonomie: proprio mentre, in vista del referendum, tanto si discute di una riforma costituzionale che molto ridimensionerebbe i poteri decisionali delle Regioni. Le quali, è vero, godono oggi di pessima reputazione e pessima stampa - ampiamente meritate - a causa del sovraccarico burocratico e normativo che spesso producono e della voracità da volpe in un pollaio dimostrata da tanti consiglieri regionali. Tutti fatti insopportabili che nauseano un'opinione pubblica ormai ostile a qualsiasi manifestazione della maledetta «casta». Fatti ai quali però si può e comunque si deve porre rimedio - e in parte lo si è già fatto. Senza contare che, come i lombardi sanno bene, le Regioni non sono tutte uguali quanto a efficienza e servizi al cittadino. Parisi converrà, dunque, che non si può buttare il bambino dell'autonomia con l'acqua sporca delle sovrapposizioni burocratiche e degli scandali. Giacché l'esito sarebbe uno Stato più centralista, burocratico, arrogante e ingordo: un rimedio insomma peggiore del male, un caso clamoroso e autolesionistico di eterogenesi dei fini.

Perciò qualcuno deve assumersi la responsabilità di riesumare la bandiera di un federalismo e di un'autonomia efficienti, proprio mentre si vuole definitivamente affossarli. Nel progetto di movimento liberale popolare al quale Parisi sta lavorando, non può mancare una rielaborazione del sistema delle autonomie, magari partendo dalla vecchia ma ottima idea di poche macro-regioni: che senso ha l'esistenza di una regione come il Molise che ha la stessa popolazione di un municipio di Milano? Ma anche: è giusto ridimensionare l'autonomia delle Regioni a statuto ordinario, lasciando inalterata (di fatto aumentandola) quelle delle già privilegiatissime Regioni a statuto speciale? Perché ridurre i poteri della virtuosa Lombardia e preservare quelli della Sicilia?

A Parisi, che per pochi voti ha mancato l'elezione a sindaco di Milano e che perciò è capo dell'opposizione a Palazzo Marino, che da Milano e dalla Lombardia ha avviato il rinnovamento di Forza Italia e del centrodestra, la mutazione che Salvini sta imponendo alla Lega (Nord?) offre la

possibilità di un forte segnale di rinnovamento: l'occasione e la responsabilità di rilanciare in termini meno ideologico-folcloristici, ma più concreti e responsabili l'idea di una riorganizzazione dello stato su basi federali.

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