Se un amico straniero - tedesco o cinese, poniamo - vi chiede perché in Italia è così difficile realizzare grandi opere pubbliche e perché, nei rari casi in cui ci si riesce, ci si impiega un tempo esagerato, fategli l'esempio della mitica Città della salute. Spiegategli che l'idea è addirittura del 2000, che tredici anni dopo i lavori non sono ancora cominciati e che, anzi, rispetto al programma si è già accumulato un ritardo di tre mesi. Raccontategli la storia di un incredibile - e grottesco se non ci fossero in ballo interessi colossali - derby Milano-Sesto San Giovanni sulla collocazione della nuova grande struttura sanitaria; dimenticando, fra l'altro, il concetto di città metropolitana destinata a nascere fra qualche mese. Ditegli che alla fine la scelta è caduta sull'area sestese delle ex acciaierie Falck, dove però col tempo sono sorti, com'era facile prevedere, intricati problemi connessi alla bonifica di un terreno sul quale per decenni si è lavorato il ferro col carbonio e altri tossici additivi. Con l'immancabile, perciò, intervento del ministero dell'Ambiente e il conseguente ricorso alla giustizia amministrativa. Spiegategli quindi, se ci riuscite, che la proprietà privata dell'area che dovrebbe essere ceduta al Comune di Sesto, ora vuole tirarsi indietro, pretendendo l'annullamento del precedente acquisto e la restituzione dei 345 milioni. Concludete infine che in questo marasma il nuovo governo regionale valuta la possibilità di riportare il progetto a Milano e quindi di ripartire da zero.
Raccontate tutto questo al vostro straniero e straniato amico e alla fine, se riesce ancora a seguirvi, mettete la ciliegina su questa pasticciatissima torta: i 450 milioni necessari per l'opera, di cui 330 della Regione, ci sono già, caso rarissimo di questi tempi, e sono lì fermi che aspettano. «Ma come - non potrà non chiedervi il vostro interlocutore costernato e stordito - con l'ariaccia che tira, il lavoro che manca, la disoccupazione galoppante voi vi permettete di tirare tanto per le lunghe un progetto così importante, rimandando l'apertura di un cantiere che darebbe lavoro, direttamente o indirettamente, a migliaia di persone? In questi tempi di carestia e sadico rigore finanziario, mentre vi lamentate dell'odioso patto di stabilità che non permette alle amministrazioni locali di spendere soldi che hanno in cassa, voi lasciate mezzo miliardo a marcire nei cassetti?»
Il lamento universale (perciò un po' ipocrita) sulle mancate riforme strutturali, sulla pervasività della burocrazia, dell'inefficienza della macchina pubblica, sull'abusato potere di veto dei sindacati, degli ambientalisti, dei comitati locali e delle lobby varie è ormai diventato una litania quotidiana. La denuncia più efficace di queste palle al piede dello sviluppo e della crescita l'ha fatta venerdì scorso il governatore di Banca d'Italia che, senza dimenticare responsabilità di imprese e banche, ha parlato di un Paese fermo da 25 anni. Ebbene, forse se avesse avuto a disposizione i termini della vicenda Città della salute, Visco avrebbe potuto illustrare la sua denuncia con la massima efficacia, mostrando come, in questo caso, di quei 25 anni ne sono passati 13 senza combinare praticamente nulla.
È evidente che a complicare le cose, come spesso accade non solo dalle nostre parti, ci sono anche legittimi (ma non sempre) interessi di gruppi finanziari, persone, figure professionali, forze politiche e amministrazioni locali. Non c'è da scandalizzarsi, avviene ovunque. Solo che altrove i contrasti non paralizzano i progetti. Alla fine si decide e si fa.
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