Il tacco ruotato come un qualunque turista sui genitali portafortuna del toro, gli interminabili cortei di auto blindate dal look sovietico, la lezione all'università Statale, Giulietto Chiesa al fianco, la moglie Raissa ad accompagnarlo e quel bagno di folla in Galleria concluso al Camparino dove ad accoglierlo c'erano Orlando Chiari e Teresa Miani che, alla richiesta di un cappuccino, lo stupirono facendoglielo servire al bancone con un cuore disegnato nella schiuma.
Sono tante le istantanee e i ricordi dei viaggi di Mikhail Gorbaciov a Milano, città che gli riservò sempre grandi onori e accoglienza a dir poco entusiasta anche nelle piazze e per strada. E a rimanere nella memoria è il suo primo viaggio, quello da presidente il primo dicembre del 1989 e quindi quando era ancora segretario generale del Partito comunista dell'Unione sovietica, la carica più alta nella gerarchia di partito e del Paese, roba che anche oggi a solo sentirla pronunciare mette i brividi addosso. Ad accoglierlo a Milano dove arrivò accompagnato dalla first lady Raissa, donna dall'indubbio fascino, trovò l'allora sindaco Paolo Pillitteri. Nel programma ufficiale un incontro con la stampa organizzato insieme al presidente del Consiglio Giulio Andreotti, Giovanni Spadolini e Mario Monti e poi la passeggiata in piazza Scala e fino al sagrato del Duomo accompagnando da Pillitteri fendendo a fatica una folla che si accalcava per vedere l'uomo destinato a cambiare la storia del mondo e a ricevere di lì a poco il premio Nobel per la Pace.
Ma, oltre agli entusiasti, c'erano anche le contestazioni. La più, diciamo così, appassionata fu quella del Movimento sociale italiano, di cui allora era segretario un giovanissimo Gianfranco Fini, e che vedeva in prima fila uno scatenato Ignazio La Russa tra bandiere con la fiamma e croci celtiche del Fronte della Gioventù, l'organizzazione giovanile del partito. Simboli che allora non creavano inutili scandali come invece succede oggi, perché era un'epoca in cui a scontrarsi erano le idee e le ideologie, non le propagande da salotto tivù imbastite solo per arraffare qualche voto.
«Milano - ricorda Paolo Pillitteri - in quegli anni non era una città abituata come Roma a ricevere spesso capi di Stato stranieri e lui in quel momento storico era un politico internazionale famoso come Ronald Regan». Ma i ricordi sono anche personali. «Come sindaco - aggiunge - mi colpì molto l'accoglienza dei milanesi che arrivarono in tantissimi fuori e dentro la Galleria in un giorno feriale per poterlo vedere da vicino. Erano curiosi e affettuosi. Sembrava, permettetemi il paragone, un divo del cinema».
Il motivo? «Era arrivato anche alla gente comune - conclude Pillitteri - il messaggio che l'Est in quel momento non sarebbe più stato quello che conoscevamo ai tempi della Guerra Fredda». E di quella trasformazione Milano aveva capito che Gorbaciov era un assoluto protagonista.
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