I nomadi le cantano al Comune: «Casa, lavoro ma senza far patti»

Le associazioni chiedono nuove politiche per l’integrazione: «No agli sgomberi, diritti civili e borse di studio per i minori»

Chiedono case, istruzione per i figli, un lavoro. Dicono no ai campi e ai patti con le istituzioni. I rom di Milano raccontano di sentirsi emarginati. Per incrinare la barriera di diffidenza ieri pomeriggio si sono dati appuntamento di fronte a Palazzo Marino. Hanno cantato e suonato. Si sono fatti portavoce dei messaggi scritti per l’occasione da Dario Fo e Moni Ovadia. Con loro numerose associazioni della città.
«Il nostro obiettivo è diffondere un messaggio che abbiamo già recapitato al prefetto - spiega Luigia Casi, di Sdl Interregionale -. Chiediamo un tavolo di confronto per risolvere la questione dei rom in modo definitivo. Invitiamo le istituzioni a dar vita a una politica di inclusione vera. Siamo qui per spiegare tutto questo ai politici riuniti in consiglio comunale». La loro ricetta può essere riassunta in tre parole: case, istruzione, lavoro. «Perché i rom sono cittadini europei - continua Paolo Cagna Nenchi, coordinatore dell’iniziativa -. Il segreto è conoscere la loro cultura. Anche io sono stato derubato dagli zingari, ma non me la sento di generalizzare».
A suonare il violino in piazza Scala c’era Samil Eduard, il piccolo rom «genio della musica» che suo padre non vuole far studiare. Intorno a lui grandi e piccoli in festa. «Siamo venuti in Italia per migliorare la nostra vita, in Romania non abbiamo nulla - racconta Russet Floaria -. Vivevo in un campo di Legnano. Lavoravo in casa di una famiglia. Poi ci hanno sgomberati. Adesso abitiamo in 40 in un casolare abbandonato a Paderno Dugnano. Non lavoro più».
Per le associazioni riunite in piazza, sarebbe fondamentale non ghettizzare gli zingari. Ma permettere loro di integrarsi. «Si tratta di cittadini come gli altri - conferma Maurizio Pagani di Opera Nomadi -. Dovrebbero abitare in case normali. Alcuni lo fanno già. E gli inquilini dei palazzi li hanno accolti senza problemi.

Inoltre, il patto di legalità è uno strumento sbagliato. Non capisco perché ai rom sia chiesto di firmare un documento che li obbliga a seguire regole implicite nella convivenza sociale. A qualunque altra etnia questo non succede».

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