Immigrato insulta l'Italia: «È vilipendio»

Tunisino inneggia ad Allah: «Meglio di questo Paese di m...»

Cristina BassiI tempi di Umberto Bossi, anche in questo, sembrano lontani anni luce. Quando il Senatùr si macchiava del reato di vilipendio, entravano in gioco gli ideali della rivolta contro lo Stato tiranno e quelli della difesa dell'onore della nazione. Oggi è un tunisino senza fissa dimora a finire sotto inchiesta con l'accusa di «vilipendio alla nazione italiana», prevista dall'articolo 291 del codice penale, per frasi molto pesanti ma anche molto sconnesse. Pronunciate - è probabile - non esattamente in condizione di piena lucidità.«Italia di m...», ha inveito l'uomo nel momento in cui veniva identificato dalle forze dell'ordine che lo hanno controllato a Corsico l'11 dicembre scorso. E durante l'alterco ha continuato «pubblicamente» a sfogare la propria rabbia: «Io entro ed esco dall'Italia quando voglio, sono entrato e uscito tre volte, tanto qui mi fanno fare quello che voglio, l'Italia è un posto di m... Fate quello che volete, tanto l'Italia è un posto di m..., è meglio Allah che l'Italia di m... con voi italiani. Dico all'avvocato che mi avete violentato, tanto qui si può fare quello che si vuole». Per gli insulti al nostro Paese la Procura ha aperto un fascicolo a carico di Saihibi A., 29enne nato in Tunisia, irregolare e senza fissa dimora in Italia. Il reato di vilipendio alla nazione italiana è punito con una multa da mille a 5mila euro. Il pm Gianluca Prisco ha da poco chiuso le indagini e lo ha comunicato all'avvocato del tunisino. Ora è probabile che arrivi la richiesta di rinvio a giudizio e che si vada a processo.La vicenda sfiora il grottesco. Chi ha ragione? Il quasi trentenne immigrato che scomoda persino Allah e crede di poter fare e dire ciò che vuole nel Paese che lo ospita, dimostrando ben poco rispetto? Oppure chi vorrebbe usare il pugno di ferro per castigare chiunque osi dire che l'Italia è un posto «del cavolo?». Se si arriverà in aula, saranno due mondi a confronto. Per sua fortuna il tunisino non rischia più il carcere, pena inflitta fino al 2006 per lo stesso reato. Nel settembre scorso il Tribunale di Bergamo ha condannato a 18 mesi di reclusione l'ex leader della Lega Nord per vilipendio al capo dello Stato. In un comizio del 2011 Bossi se l'era presa con l'allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, chiamandolo «terùn» e facendo il gesto delle corna.

Sempre Napolitano è finito nel mirino di Francesco Storace, che lo definì «indegno». Per questa affermazione - di cui poi aveva chiesto scusa - il leader della Destra è stato condannato nel 2014 a sei mesi, con pena sospesa.

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