Liga, il «Boss» emiliano ha già espugnato S. Siro

Tra i giovanissimi, si dice, il rock è quel genere al sapor di «vintage». Qualcosa che andava forte tra «i fratelli maggiori dei miei genitori». Sarà. Ma poi ci devono spiegare i sold out dei leoni dell'altro ieri, di ieri e di oggi. Un San Siro tutto esaurito – come quello che confeziona Luciano Ligabue a Milano questa sera e domani, con 130.000 spettatori nel weekend – non lo riempi solo con chi ha i capelli grigi o sa farsi il nodo della cravatta. Il rocker di Correggio queste cose le sa, e difatti non si allontana mai troppo (diciamo per niente...) da quella sacra e solida formula che dice che finché c'è una chitarra elettrica nei paraggi, e delle dita rabbiose a tormentarla, il rock non cederà di un millimetro. Oggi e domani quello che la formula ufficiale battezza come Stadio Giuseppe Meazza torna a farsi ampio salotto di cemento e sogni in occasione dei due live di Ligabue, per la cronaca quelli che gli servono ad appuntarsi sulla camicia una sorta di calcistica «stella»: il rocker emiliano - con il cuore saldamente interista - passa la boa del decimo (e undicesimo) concerto nel tempio dello sport e della musica milanese. Sono passati quattro anni e – come assicura lo stesso «Liga» - «sarà qualcosa che accompagnerà lo spettacolo alla musica».
Ad esempio, una rivoluzione estetica: lo spazio per i musicisti sarà esposto letteralmente al pubblico, lungo un arco a 180 gradi che avvicina il protagonista e i suoi sodali alla gente. Come primo ingrediente del rock da stadio, inutile dirlo, ci sarà l'energia: brani tirati il più possibile nonché l'esecuzione pressoché integrale di «Mondovisione», l'ultima fatica discografica di Ligabue, uscito a fine 2013, con brani come «Il sale della terra», «Per sempre», e, fresco di uscita da singolo, «Il muro del suono». Il sound subirà qualche variazione perché due membri della consolidata band di Ligabue hanno salutato: il tastierista José Fiorilli lascia il posto vacante, mentre il bassista Kaveh Rastegar fa staffetta con Davide Pezzin. Un modo per serrare le fila intorno all'anima più pura del rock («curato e prodotto in studio da italiani e in Italia», ci tiene a precisare Ligabue), con la promessa che «ci saranno poche differenze tra ciò che si ascolta nel disco e ciò che si sente dal palco». Lo spettacolo a cui allude Ligabue è una narrazione: venticinque anni di carriera partiti «ballando sul mondo» e giunti a una «visione del mondo» che è anche uno sguardo disincantato allo stato attuale delle cose, una realtà in cui tutto è, volontariamente o meno, in mondovisione. Difatti, sulla copertina del disco, il mondo è ancora azzurro di acqua e speranze, ma tristemente accartocciato come uno di quei giornali pieni di notizie che – come vuole il vecchio adagio – «il giorno dopo serve per incartare il pesce». Tutto scorre veloce, tutto viene assorbito e altrettanto agilmente dimenticato. Per non assuefarsi e non considerare scontato tutto ciò, il rock può essere una risposta.

Ad anticipare il Liga sul palco, una carrellata di artisti: Brunori Sas, Il Cile, Daniele Ronda e Paolo Simoni. Il boato giusto, però, è atteso non prima delle ore 21.30: quando sarà buio, Ligabue butterà la sua inconfondibile voce nel microfono e le proiezioni video daranno il loro meglio.

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