l'intervento 2

È certamente vero che le colpe dei padri non ricadono sui figli. Non è altrettanto vero che le colpe dei figli non toccano i padri, principio in base al quale il sindaco Giuliano Pisapia ha consegnato l'Ambrogino d'oro, massima onorificenza cittadina milanese, a Morando Morandini, principe dei critici cinematografici italiani. Non è altrettanto vero se vogliamo ancora credere che l'educazione e gli orientamenti etici che i padri dovrebbero impartire ai figli abbiano ancora un minimo di valore. Se, insomma, ci ostiniamo ad attribuire qualche traccia di responsabilità alla figura paterna, peraltro palesemente in via d'estinzione.

Walter Tobagi, uno dei migliori inviati del Corriere della Sera, presidente dell'Associazione lombarda dei giornalisti, socialista riformista cattolico perciò odiato dalla sinistra «rivoluzionaria», fu ucciso dalla Brigata XVIII marzo il 28 maggio 1980. Paolo Morandini, uno dei componenti di quella banda di assassini, fu arrestato ai primi di ottobre. Il padre di Paolo, Morando Morandini era una delle più prestigiose firme del quotidiano Il Giorno, del quale all'epoca ero redattore. Facevo anche parte del comitato di redazione, l'organismo sindacale dei giornalisti, insieme a Franco Abruzzo e al compianto Gilberto Cella. Tutti amici di Tobagi. Convocammo immediatamente un'assemblea: un nostro amico e leader sindacale ucciso dal figlio di uno stimatissimo collega. Morando, coraggiosamente, si presentò alla riunione. Appena lo vidi andai a dirgli che quell'assemblea non era contro di lui, che non lo si voleva colpevolizzare in alcun modo e che eravamo tutti costernati per quello che gli era capitato. Gli diedi la mano e lui non disse una parola. Quel gesto di umana comprensione francamente mi costò, perché volevo bene a Walter e lo stimavo profondamente, come giornalista e come uomo. Ma sapevo anche quanto odio politico contro di lui e i suoi amici si seminava in quei mesi nei salotti della Milano bene rivoluzionaria, quali prediche eversive si facevano la sera a cena nelle case di tanti intellettuali firmatari a go-go di manifesti e appelli antisistema. E sapevo anche quanto quell'odio finiva inevitabilmente per influenzare certe coscienze fragili di viziati figli di papà, spingendoli spesso a passare dalla parole ai fatti, dalle dimore eleganti del centro di Milano ai covi delle Brigate rosse.

Se Pisapia e quanti altri hanno proposto di conferire l'Ambrogino d'oro a Morandini avessero riflettuto su tutto questo, se si fossero posto un problema non di legittimità, indubbia, ma di opportunità, di buon senso, forse avrebbero evitato di riaprire certe ferite evidentemente ancora non del tutto rimarginate, di rievocare certe dolorose memorie che sarebbe meglio per tutti se restassero nel profondo delle coscienze di

ciascuno. D'altra parte è noto da tempo che la faziosità si sia impadronita anche della distribuzione degli Ambrogini, nella città che, ad esempio, non riesce a dedicare una strada o una piazza o un giardino a Oriena Fallaci.

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