Produttore discografico, DeeJay, cantante e conduttore televisivo, una grande curiosità per il cibo di tutto il mondo e un papà collezionista di vino e grappe, il leggendario tastierista degli altrettanto leggendari Pooh Roby Facchinetti e dell'allora compagna Rosaria Longoni. Ma anche fratello minore della stilista Alessandra. E dunque a tavola con Francesco Facchinetti che il nove settembre presenterà «Miss Italia» e già il dieci volerà a Los Angeles per condurre un programma televisivo di un broadcaster americano.
Francesco Facchinetti, Milano è la nuova capitale del food?
«Dopo Expo Milano è cambiata molto e sta continuando a cambiare in meglio. Un grande flusso di persone che apprezzano le nostre unicità: il fashion e il food sono ovviamente le più importanti. Migliaia di ristoranti sia di cucina italiana, tra le più complete al mondo, che internazionale fanno di Milano una vera capitale del cibo».
E che rapporto ha lei con il cibo?
«Sono bergamasco, gente abituata a mangiare anche pesante: il cibo non ci spaventa. Siamo capaci di mangiare fino a scoppiare, una tradizione non solo nostra anche se da noi, sai a che ora ti siedi a tavola, ma non a che ora ti alzi».
E quindi?
«Sono un amante della cucina, da quelle più complesse a quelle più semplici. Vado a momenti, a passioni e sperimento molto, viaggiando ho provato cibi incredibili, alimenti che non trovi manco su Internet e scopri che in certi Paesi si mangia benissimo».
Ci faccia qualche esempio.
«In una piccola zona dell'Honduras vive la comunità Garifuna, fondata da schiavi ribelli, una cucina Afro-Sudamericana, ricca di spezie e aglio».
Impegnativa.
«Oppure in Cina, una cucina vasta quando il Paese, dove ho assaggiato animali di ogni tipo. L'abitudine è vederli vivi prima di mangiarli. Sembra cruento, ma è la loro cultura».
Sarà la loro cultura, ma sono sempre animali di ogni tipo.
«C'è poi il mondo degli insetti che sta crescendo moltissimo. Alti livelli nutrizionali, costi bassissimi e zero impatto ambientale».
Quale insetto consiglierebbe da mettere a tavola?
«Cavallette e formiche giganti fritte, come le fanno in Cina. Il sapore è simile a quello del pollo».
Altro?
«Un altro mondo che mi sta appassionando e il Foraging che Valeria Mosca a portato in Italia. Ci si nutre di quanto l'ambiente offre spontaneamente: alimenti selvaggi come cortecce, muschi, licheni, alghe. È un'arte, molto diffusa tra i climber».
Lei cosa ha assaggiato?
«Ho assaggiato alghe della Polinesia che hanno lo stesso sapore del tartufo».
Il sapore dell'infanzia? Magari un po' più classico.
«Lo stesso di tanti bimbi italiani: pasta al sugo e cotoletta con le patate che uscivano a fiammifero dallo schiacciapatate per essere fritte. Sono stato nutrito dalle nonne, le vere padrone di casa che cucinano per tutti».
Cucinavano bene?
«Tanto. Ci tenevano a vedermi in forma con porzioni da trecento grammi di pasta».
Il profumo che ama in cucina?
«Quello del cibo fatto con il Marsala come le scaloppine, oppure il profumo dell'impasto per la crostata. Me lo mangio anche crudo».
Francesco Facchinetti meglio ai fornelli o a tavola?
«Mi piace cucinare, ma da quando siamo sposati la cuoca è mia moglie Wilma, metà brasiliana e metà libanese. Ha frequentato a Parigi la prestigiosa scuola Cordon Bleu».
E lei?
«Io sto a tavola insieme ai miei quattro figli che già hanno le loro preferenze. Spesso a casa mangiamo piatti brasiliani, una cucina che va ben oltre il Churrasco, dove la frutta si unisce a carne o pesce, ottimo con il mango e avocado dappertutto».
I bambini?
«I bambini amano anche l'humus dalla cucina libanese. Mia figlia, invece, chiede pasta al sugo e una bella bistecca».
Cosa non smetterebbe mai di mangiare?
«La cotoletta alla palermitana. Meno famosa di quella milanese, ma ottima. È battuta, molto fine e cotta al forno. Anche quella alla bolognese, pesantissima, ma che gusto».
Il pranzo o la cena che non dimenticherà mai.
«Due. A Cannes con Bill Clinton durante il festival. Non ricordo cosa ci siamo detti, ma chiamarlo presidente è stato emozionante. Poi a L'Avana, in una casa particular avevo diciotto anni e ho mangiato un'aragosta che sapeva di mare e platano fritto, sono rimasto flashato, mangiato da dio».
Il vino che sensazioni le scatena?
«Sono un collezionista di vini come mio padre, abbiamo passione lui per i rossi, io per i bianchi strutturati, come lo Chardonnay di Planeta le cui uve schiacciate nelle pietre focaie danno un sapore intenso e particolare. Amo berlo ghiacciato».
Ghiacciato?
«Il bianco va bevuto così, altrimenti ti lascia acidità. Mi piace anche la Grappa di Romano Levi che non c'è più, ma mio padre ne avrà seicento bottiglie con etichette uniche e disegnate a mano».
Bianco, rosso o bollicine?
«Ferrari e Bellavista mi piacciono e si fanno bere, l'esplosione delle bollicine è un piacere. Vengono da ottimi territori come la Franciacorta e Trento». Ho visitato molte cantine e segnalo quella dell'hotel La Perla di Corvara, con la prima bottiglia di Sassicaia 1968, hanno di quel vino più bottiglie che nel resto del mondo. Una cantina che è un percorso mistico. Tappa anche da Norbert Niederkofler alla Rosalpina di San Cassiano».
Menù tradizionale o innovativo?
«La tradizione a Ca' della Taragna a Bergamo, amo polenta e brasato anche ad agosto. L'innovazione è Heinz Beck alla Pergola di Roma».
La regione e la città sinonimo di buona cucina?
«L'entroterra sardo, sperduti nella Barbagia, dove si mangiano e bevono cose mai viste, pane frattau, lasagna con pane carasau intinto nel brodo di pecora con uovo e pomodoro a strati, porceddu e Filu Ferru il finale dove morire. Poi il Caso Marsu, il formaggio con i vermi. Forse ancora illegale ma stratosferico. C'è chi lo mangia bendato, io lo guardo».
Il suo luogo del cuore?
«Città Alta a Bergamo dove sono nato, le mura sono divenatte patrimonio dell'Unesco. Abitavo in piazza Vecchia, un luogo incredibile, come abitare in piazza del Campo a Siena, come vivere in una cartolina».
La cena romantica è un'arma vincente?
«Assolutamente sì, per tre ragioni: un appuntamento, un anniversario, farsi perdonare».
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