Governatore e sindaco sotto processo in contemporanea, scenario inedito per Milano: e in mezzo ci sono le conseguenze della «Severino», la legge del 2014 che stabilisce i casi in cui i pubblici amministratori devono lasciare il loro posto. Ma le prospettive di Roberto Maroni e Beppe Sala sono, da questo punto di vista, assai diverse. «Se non interverrà la legge Severino continuerò a fare il sindaco anche in caso di condanna», diceva ieri Sala. E aggiunge che «non posso oppormi alla legge, non posso incollarmi alla sedia». Ma, cautele a parte, sa benissimo che in realtà lui dalla «Severino» non rischia nulla. A differenza di Maroni. La legge del 2014, infatti, indica uno per uno i reati per i quali già la condanna in primo grado è incompatibile con la permanenza in carica degli amministratori locali. Tra questi reati compare uno di quelli per cui Maroni è sotto processo, ovvero l'«induzione indebita», articolo 319 quater del codice penale, mentre invece non compare nessuno dei due reati, la turbativa d'asta e il falso in atto pubblico che la Procura generale contesta a Sala e per il quale dopo la pausa estiva chiederà il suo rinvio a giudizio. Certo, sia Maroni che Sala considerano come via maestra l'assoluzione da accuse che entrambi considerano infondate. Il processo al sindaco è peraltro ancora tutto da avviare («il mio legale non ha ancora ottenuto copia delle carte», diceva ieri il sindaco), mentre quello al presidente della Regione è in fase ormai avanzata, nonostante i molti rinvii. Domani c'è una nuova udienza e dopo l'estate potrebbe arrivare la sentenza. Ma l'insistenza con cui la «Severino» viene evocata racconta che sia Maroni che Sala considerano forse possibile una condanna.
Per Maroni la decadenza sarebbe immediata; Sala invece potrebbe restare al suo posto anche da condannato, almeno fino alla sentenza definitiva. Ed esattamente questo - apprendiamo ieri - è ciò che il sindaco vuole fare.
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