No alle bici in contromano e no alle bici sui marciapiedi

L'assessore Maran chiede al governo di approvare altre deroghe per i ciclisti ma in città chi usa le dueruote spesso ignora regole verso pedoni e automobilisti

La battaglia del contromano continua: i ciclotalebani milanesi guidati dal loro mullah Pierfrancesco Maran e alleati con i confratelli di Bologna e Torino si apprestano all'ultima resistenza. Avevano chiesto e ottenuto che nel nuovo codice della strada venisse concesso ai ciclisti di percorrere contro mano certe strade a certe condizioni - il solito «eccezionismo» italiano che, moltiplicando i casi particolari, complica le già troppe regole, rendendo impossibili i controlli. Ma a tempi parlamentari quasi scaduti la norma «bike-frendly» perorata dalla ciclo-corporazione è stata abrogata con un emendamento scandalosamente ispirato al buon senso. A Maran e ai suoi alleati, messi sotto pressione dalla potente ed elegante lobby delle due ruote, non restava che calzare l'elmetto e marciare, o meglio pedalare su Roma. Infatti hanno scritto al ministro dei trasporti Maurizio Lupi per chiedere che si torni al trattamento privilegiato: bici contromano nelle strade con limite di velocità di 30 chilometri all'ora, larghe più di 4 metri, con parcheggio consentito solo su un lato eccetera. Ve lo immaginate il ciclista, che già oggi spasso fa quello che gli pare, passa col rosso, sfreccia su qualsiasi marciapiede e va contromano ovunque, ve lo immaginate prendere le misure della carreggiata e controllare i prescritti limiti di velocità prima di imboccare una strada nel senso vietato ai veicoli comuni mortali? Lo farà e basta, come oggi. Ma, a stando alle regole, cosa dice il nuovo codice della strada a proposito dei ciclisti prepotenti che sfrecciano sui marciapiedi dai quali stanno gradualmente espellendo i pedoni? E ancora vietato? E se lo è, perché i vigili non intervengono mai? E perché Maran non dice mai una parola su questa tollerata infrazione? Insomma, la «controversia del contromano» è ridicola quanto basta perché le si debba dedicare altro tempo. Ciò che nel caso di Milano la rende più seria è la constatazione amarissima che l'assessore sedicente alla Mobilità si è ridotto, di fatto, a fare l'assessore alle Biciclette. È noto che per la giunta Pisapia la politica della mobilità consiste di fatto nella lotta all'automobile. È una sciocchezza ideologica neppure supportata da fatti e azioni coerenti, giacché il contrasto al mezzo privato si fa principalmente col mezzo pubblico (come faceva la vera sinistra di una volta). E invece questa amministrazione non ha saputo fare altro che aumentare a dismisura i prezzi di biglietti e abbonamenti dell'Atm, ritardare la linea 5 del metrò sfoltendone le fermate, di fatto bloccare la realizzazione della 4 da Linate, indispensabile per Expo; senza creare nuove linee di superficie o almeno ridurre i tempi di attesa alle fermate. In compenso tante bici ovunque e qualche pista ciclabile, magari contestata perfino dagli stessi ciclisti che ne pretendono tante, come nel caso di quella di viale Tunisia.

Insomma, una politica della mobilità, quella di Pisapia e Maran, adatta più a una media città di provincia che a una metropoli. Una politica basata solo sulla bicicletta elevata feticcio ideologico. La politica di una sinistra senza idee, questa che governa la città, che fa rimpiangere perfino quella delle ideologie.

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