«Noi direttori? Ci hanno rottamati»

L'amarezza dell'ex guida della Pinacoteca: «Anni di lavoro con pochi strumenti a disposizione»

«È successo come nel passaggio dalla lira all'euro: bisognava cambiare e sacrificare qualcosa. In questo caso siamo stati sacrificati noi direttori». Non c'è rabbia, ma tanta amarezza nelle parole dell'ex direttrice della Pinacoteca Sandrina Bandera, il giorno dopo la nomina del suo successore James Bradburne.

Ha guidato Brera dal 2008: che bilancio traccia?

«Ho cercato di dare una visione del museo come qualcosa che non debba restare sempre fermo, come si pensava fino ad allora. È stato molto faticoso farlo capire a tutti: superiori, colleghi e personale. Ma penso di esserci riuscita. Ho portato a Brera tantissime mostre dopo anni in cui non si era fatto nulla. Un lavoro sudato, fatto con comitati scientifici internazionali. Ma ho valorizzato quello che avevamo, con il rifacimento della sala dei Veneti, un nuovo allestimento attorno al Mantegna, la nuova illuminazione a led nella sala di Raffaello e Piero della Francesca».

Rimpianti?

«Mi ha pesato il fatto di avere molte idee - a Milano l'offerta museale della concorrenza è altissima, quindi sei obbligato ad averne - che a causa della scarsa autonomia non ho potuto realizzare»

Quali?

«Avrei differenziato i prezzi dei biglietti in base ai giorni, modificato gli orari di apertura e chiusura. Ed esposto a rotazione anche il materiale che si trova nei depositi: a Brera la gestione degli spazi è difficilissima, non bastano per le collezioni, a ogni esposizione va ripensato. Ma di tutto questo non si parlava con il Ministero, al di sopra di me c'era la direzione regionale e solo loro potevano parlare con Roma».

Si è sentita abbandonata?

«Sì, qualche volta sì».

Che pensa del nuovo indirizzo, che vede i direttori nel ruolo di manager?

«È corretto: finalmente c'è autonomia su alcune voci fondamentali»

Se lei l'avesse avuta che cosa avrebbe fatto?

«Un museo moderno ha bisogno di luoghi dove organizzare concerti, letture, conferenze. Oltre che di una caffetteria e di uno spazio per giochi dei bambini».

Tra qualche mese andrà in pensione: le sarebbe piaciuto poter chiudere gestendo Brera con un “portafogli“?

«Sì certo, sarebbe stato bello. Un cambiamento era necessario, ma penso sia facile capire come umanamente ci siamo sentiti tutti noi direttori dei gradi musei: rottamati, messi alla porta da un giorno all'altro».

Lo storico dell'arte Philippe Daverio ha detto che James Bradburne “non ha brillato“ alla guida di Palazzo Strozzi.

«Sono a Berna e non ho letto i giornali, ma penso che abbia organizzato fior di mostre interessanti e che sia una persona molto intelligente. Io non boicotto il suo lavoro, tengo al futuro di Brera. Fino a fine ottobre sono ancora direttore del Polo museale, penso al bene della mia città»

Il nuovo direttore ha indicato come priorità l'aumento dei visitatori, che è un altro nervo scoperto.

«Appena sono arrivata il numero dei biglietti staccati è aumentato di circa 40mila unità. Poi c'è stato un calo, anche per i problemi con i sindacati, come per la mostra proveniente dal museo Puskin, nel 2011 (il personale aveva superato il monte ore di straordinario previsto, e il museo restò chiuso, ndr ). Ma alla fine il numero è tornato attorno ai 280-300mila visitatori all'anno».

Che futuro vede per la Grande Brera?

«Il primo passo è lo spostamento delle opere del '900 e delle collezioni, come la Vitali, che contiene anche pezzi

medievali, a palazzo Citterio. Ci vorrà del tempo ma già così si cominciano a liberare spazi. Il progetto del palazzo della Pinacoteca invece è più indietro, resta da spostare l'Accademia di Belle Arti».

Twitter @giulianadevivo

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