I bambini di Gorla dormono in pace. Sono passati 76 anni da quel 20 ottobre in cui 37 tonnellate di esplosivo trasformarono il quartiere in un inferno di fuoco e macerie. Era una bella giornata, la guerra pareva quasi finita, ma l'incursione aerea alleata di una formazione partita da Foggia, una volta mancati i suoi obiettivi, invece di scaricare l'arsenale in aperta campagna o nel mare Adriatico decise di sganciarlo su case, negozi e officine della periferia di Milano. Erano le 11.29 quando una bomba cambiò per sempre la vita di questo pezzo di città, colpendo la scuola elementare «Francesco Crispi» e uccidendo 184 bambini, i loro insegnanti e alcuni genitori accorsi per portarli in salvo.
Dalla fine degli anni Cinquanta quei bambini riposano nella cripta del documento eretto a Gorla. C'è anche la maestra di Graziella Ghisalberti: «È lei che mi ha salvato - ricorda - Io abitavo in viale Monza ed ero con tre-quattro compagne. Alzammo gli occhi e vedemmo gli aerei. Volevo andare nel rifugio ma arrivate all'ingresso della scuola ci mandarono via: Scappate. Mi misi a correre con la cartella e l'inchiostro, che non volevo perdere per non essere rimproverata. Caddi davanti a un portone e mi sentii prendere per un braccio dalla custode che mi tirò dentro. Misi la cartella in testa per i ripararmi. Là fuori la vista era diventata di tutti i colori. Quando uscimmo il quartiere era pieno di polvere e macerie».
I sopravvissuti furono pochi. E 76 anni dopo sono pochissimi i testimoni di una strage che per vari motivi è stata quasi dimenticata. Giancarlo Novara aveva 7 anni ed è l'unico a essersi salvato fra quanti si trovavano nella scuola. «Eravamo sulle scale e suonò il primo allarme - ricorda - ci hanno inquadrati per portarci in salvo. Arrivati all'uscita suonò il cessato allarme e in quel momento bombardarono. Una bomba passò dal tetto ed entrò nei rifugi, mi estrassero dalle macerie dopo le 2 del pomeriggio, la gente di Gorla scavava e un capo pompieri aprì con un piccone la parete. Mi caricarono su un motocarro portandomi in Francesco Sforza. Mi misero in mezzo ai morti ma un prete che passava si accorse che ero vivo. Portato in sala operatoria, avevo i denti inchiodati dallo shock e un sasso che mi soffocava. I calcinacci mi avevano bruciato le palpebre, tanto che pensavano che sarei rimasto cieco. Mi svegliai dopo 5 giorni di coma».
Anche Sergio Francescatti aveva 7 anni. Tornò su a scuola per recuperare il suo cappotto e questo gli valse la vita. Incontrò uno scolaro più grande che lo aiutò: «Con il soprabito sul braccio e la cartella nell'altra mano comincio a scendere le scale al suo fianco. Si chiamava Ambrogino». Seguirlo fu la sua salvezza. Le storie di piccoli martiri sono strazianti, e per troppi anni la strage è rimasta in un limbo fra dolore e oblio, a rischio d'essere dimenticata: «Per parecchio - racconta Francescatti - è stata considerata come una delle tante cerimonie, presa un po' sottogamba, ignorata dalle autorità, mandavano qualcuno del Comune e finiva lì. Per Marzabotto o altre vicende era diverso. Noi volevamo solo che fosse ricordata non meno delle altre. Solo con l'impegno di questi ultimi anni ci siamo riusciti». Una delusione è la cancellazione della cerimonia davanti al monumento: «È sempre, sempre, sempre stata fatta» osserva Novara. «Il nostro ricordo è indelebile - osserva Graziella - Io magari dimentico una cosa di due minuti fa, ma non questo, ricordo tutto. Ho sempre detto che avrei voluto più attenzione dalle autorità a Roma - riflette - Ma già dall'altra parte di Milano non sanno cos'è successo. Nel nostro piccolo abbiamo fatto il possibile».
Pochi giorni fa una novità importante. Il 14 ottobre in commissione Cultura è stata approvata all'unanimità una risoluzione della vicepresidente Paola Frassinetti. Il documento chiede che la strage sia ricordata nelle scuole. «Di questa strage si è sempre parlato poco - dice l'esponente di Fdi - perché la nostra memoria è così, alleati o no. Pur avendo provocato moltissimi morti era stata dimenticata, invece per me è giusto che sia ricordata ed è uno stimolo per fare riflessioni sugli orrori delle guerre che, tramite i bombardamenti, hanno colpito e colpiscono anche civili e studenti». Instancabile, a Milano, l'impegno del vicepresidente di Zona 2 Marzio Nava, che da 4 anni organizza un concerto in memoria (il 30 ottobre) nella chiesa di Santa Teresa del Bambin Gesù. Quest'anno ci sarà un reading teatrale nella sala dell'oratorio, domenica alle 15.
E Nava ha una memoria personale familiare della strage: una zia, scomparsa da pochi anni, era una delle superstiti. «Stava per scendere quelle scale quando scappò via, rifugiandosi in una cascina di fronte. Si chiamava Antonietta Grumo».
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