Dopo Pollock e gli «irascibili», Milano celebra oggi un altro mostro sacro della storia dell'arte, il maestro ottocentesco Auguste Rodin. Lo scultore del «Bacio», icona pop stampata nell'immaginario del pubblico quasi come l'omologo cioccolatino. Tra pochi giorni occhieggerà da Palazzo Reale un altro simbolo, stavolta dell'estetica novecentesca: la «Marylin» di Andy Warhol, artista che ormai - malgrado le ragnatele della scuola italiana - mette d'accordo nonni e nipoti. A pochi chilometri da Milano, nel Canton Ticino, una grande antologica spiega con numerosi capolavori e documentato catalogo l'influsso che ebbero gli artisti svizzeri nell'affermarsi del Simbolismo di fine '800; corrente meno fortunata e meno piaciona rispetto al contemporaneo Impressionismo, ma determinante per la rivoluzione delle avanguardie del secolo breve. Beh, dirà qualcuno, gli svizzeri non devono certo preoccuparsi di far quadrare i conti. Può anche darsi, ma mai come in questo caso si tratta di una grande mostra fatta in casa, visto che la ricca esposizione nasce da una collaborazione tra il Museo Cantonale d'Arte e Museo d'Arte di Lugano e il Kunstmuseum di Berna. Diciamo piuttosto che la piccola Svizzera, pur potendo permettersi di esporre i grandi nomi (ma soprattutto le grandi opere...), non si vergogna - anzi si vanta - di storicizzare e analizzare la propria identità e raccontarla ai propri bambini, prima ancora che ai turisti. Milano, che non ha grandi musei, non rinuncia invece a perseverare nella politica delle mostre «blockbuster», vale a dire l'acquisto di pacchetti proposti da società di produzione - come il Sole 24 Ore, Arthemisia, Electa eccetera - che in quanto tali hanno un primario obbiettivo: quello di vendere più biglietti, più cataloghi e più gadget possibili. Da Modigliani a Picasso, da Schiele a Pollock, da Hopper a Warhol, Palazzo Reale è immarcescibile contenitore di titoli sull'arte di «Serie A», quella che non fa mai mancare il pubblico; pazienza se poi le opere - come spesso accade - siano in gran parte di serie B, perchè quel che conta è fare botteghino. La replica - indipendentemente dal colore politico delle giunte - è sempre la stessa: pensare e produrre mostre costa, e soldi in cassa non ce n'è. Falso. Storicizzare con grandi mostre il nostro '900, tanto per fare un esempio, costerebbe molto poco in quanto a trasporti e assicurazioni, ma le nostre amministrazioni sono convinte che avrebbe meno appeal perchè, anche se non ce lo diciamo, siam tutti un po' ignorantelli. Può darsi. Ma il ruolo della cultura pubblica non dovrebbe essere anche quello di educarlo, il popolo? Per farlo, però, serve una cultura di progetto e non la cultura degli spot.
E allora invece di riproporre per l'ennesima volta la zuppa Campbell di Andy Warhol, perchè non raccontare ad esempio l'influsso che la Pop Art americana ebbe sugli artisti italiani del '900, da Mario Schifano a Tano Festa a Enrico Baj? L'ex assessore Boeri queste cose le aveva capite e le aveva pubblicamente dette. Ma neanche lui ha fatto nulla.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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