Li chiudono, poi li aprono. Poi vogliono togliergli pure l'asporto. I ristoratori sono al limite. E dopo un anno di provvedimenti contradditori e incomprensibili vogliono la fine dell'incertezza e dell'improvvisazione. Le istituzioni dal punto di vista del settore stanno dando la sensazione di non sapere come affrontare la crisi pandemica, tanto da continuare con «provvedimenti a singhiozzo» afferma Lino Stoppani, presidente milanese Epam e nazionale Fipe. E mentre si ventila di limitare o togliere la possibilità della vendita da asporto, nessuno sta pensando a cosa succederà il 31 marzo: «Qualcuno dovrebbe affrontare il discorso in previsione dell'emorragia che ci sarà quando toglieranno il blocco dei licenziamenti anche perché nel nostro settore ogni posto di lavoro perso è perso per sempre». Le conoscenze e competenze sviluppate nel corso degli anni dai lavoratori sono talmente peculiari da essere irrecuperabili una volta scomparse.
Ma le associazioni stanno cercando di mantenere un atteggiamento collaborativo con le istituzioni: «Vogliamo parlare alla testa e non alla pancia dei nostri associati» precisa Stoppani. Quindi per ora pur capendo la voglia di manifestazioni di piazza, la linea è quella di cercare un dialogo costruttivo con le istituzioni come già successo con i sindacati che per la prima volta hanno la stessa linea dei datori di lavoro. Allora da una parte «abbiamo chiesto al Mise di dichiarare lo stato di crisi per il settore perché così si possono aprire corsie preferenziali per alcune procedure spiega Stoppani dall'altra vogliamo un tavolo con il Comitato tecnico scientifico per capire perché le nostre attività sono considerate a rischio e altre no: ci hanno chiesto di distanziare i tavoli, avere i detergenti e altro e lo abbiamo fatto, ma noi siamo chiusi mentre vediamo fabbriche da migliaia di persone con le mense aperte. Non capiamo perché questo sacrificio sociale venga richiesto solo ad alcune categorie, vogliamo rispetto perché se togli il lavoro alla nostra categoria, togli la vita alle persone».
Le ultime notizie che anticipano una riduzione degli orari dell'asporto sono l'ultima mazzata a un settore che «nel 2020 ha perso il 40 per cento del fatturato conclude Stoppani - e non capiamo la linea del governo, a meno che il disegno non sia quello di deviare i flussi commerciali a favore delle grandi piattaforme internazionali, ma la nostra forza è sempre stata quella di essere in gran parte piccole e medie aziende che tra l'altro sono essenziali anche per tutta la filiera agroalimentare».
Nel frattempo ci si arrangia come si può. Ad esempio il locale milanese Rab, un bar sociale nel quale lavorano ragazzi con disabilità intellettive insieme ai volontari della Cooperativa sociale Baracca onlus, ha avviato una raccolta fondi sul portale di crowdfunding Produzioni dal Basso che ha raccolto poco meno di 6mila euro. «I fondi raccolti spiegano in una nota i responsabili di Rab - serviranno ai gestori per coprire le ingenti perdite di questi mesi, come affitto e utenze, riprendere la programmazione degli eventi gratuiti, rinnovare i contratti in sospeso e ampliare gli orari di apertura, per consentire la prosecuzione dei percorsi di formazione».
Intanto si muove anche la politica.
Fratelli d'Italia sta promuovendo una class action dei ristoratori contro il governo per ottenere un indennizzo per i danni subiti dalle restrizioni. «Riteniamo che il governo abbia penalizzato, senza basi giuridiche e scientifiche solide, i ristoratori e ora deve risarcire i danni!» ha spiegato Marco Osnato, deputato di FdI e capogruppo in commissione Bilancio.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.