Cronaca di un suicidio (politico) annunciato. Quello del Pd. Non erano in molti a manifestare in piazza Duomo, ieri, contro la giunta regionale e contro la sanità privata («la salute non si vende»). Eppure il problema non era tanto chi non c'era. Il problema è chi c'era.
Il Pd, rappresentato dal suo capogruppo regionale Fabio Pizzul, ha deciso di andare in piazza insieme a Rifondazione Comunista, Cobas, Sinistra anticapitalista e compagni vari, e non ha trovato niente di strano nel fatto che in quella piazza ci fossero anche le «Brigate sanitarie» e sigle simili, a dar vita a una giostra parolaia, giustizialista e ideologica. E potevano mancare i grillini?
Alla vigilia della manifestazione, si poteva ipotizzare che i dirigenti del Pd non si rendessero conto di quel che stavano per fare. Chi ha assistito al susseguirsi degli interventi dal palco in Duomo ha dovuto concludere che non è stato un abbaglio: il primo partito della sinistra, quello che ambisce a governare l'Italia e anche la Lombardia, ha scelto un'altra volta la «gioiosa macchina da guerra», un'alleanza che con sigle e siglette della sinistra comunista, quella che con Vittorio Agnoletto candidato governatore, nel 2010, aveva raccolto il 2,6% dei consensi. E Pizzul, cattolico di estrazione moderata, non era neanche tanto in imbarazzo. È intervenuto dopo il comizio di Agnoletto, una tirata enfatica e ideologica arrivata al punto di qualificare la giunta regionale come «responsabile diretta di migliaia e migliaia di morti». È intervenuto, Pizzul, dopo relatori che hanno parlato di una «schifosa gestione manageriale», che hanno attinto alla retorica più trita sul privato, che hanno dipinto il sistema sanitario col consueto settarismo fazioso e moralista, quello per cui i «profitti di alcuni» vanno a scapito della sanità di tutti».
La «salute non è una merce, la sanità non è un'azienda» questo recitava lo striscione sotto il palco. Lo spartito era chiaro, prevedeva il solito ritornello con note giustizialiste impastate alla retorica no global e antagonista, quella per cui «un'altra sanità è possibile», come un altro mondo. «Noi non dimentichiamo» è il nuovo slogan di Pierfrancesco Majorino.
La foga contro il centrodestra era la stessa dell'infausta campagna per il commissariamento della Regione. «Loro sono la malattia - ha detto Agnoletto - noi la cura». «Noi li vogliamo mandare a casa. Il governo non lo ha fatto. Lo faremo noi fra 15 mesi».
Sullo sfondo, neanche tanto, l'obiettivo comune: «Togliere la Regione Lombardia al centrodestra» come ha detto qualcuno. E Pizzul non ha avuto un attimo di esitazione. Ha sottolineato con favore la circostanza che ci fossero «tantissime sigle e realtà diverse» e ha fatto cenno appena al fatto che «su alcune cose la pensiamo in modo diverso» ma per concludere, all'opposto, che quello che ha preso corpo ieri è «un progetto alternativo», che al centro non ha «l'interesse di qualcuno ma i beni comuni e i diritti fondamentali, con il contributo di tutti».
Per il Pd, c'è un «obiettivo comune» con tutti quei compagni, e sono le elezioni del 2023. L'opposizione alla riforma sanitaria in discussione oggi sarà il viatico verso le Regionali. «Se cammineremo insieme avremmo delle belle sorprese» ha detto Pizzul. Sorprese sicuro. Belle non si sa.
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