Nei giorni scorsi a Palazzo Marino sono stati fatti due annunci relativi a due diverse vicende, tra i quali però si può vedere sia una contraddizione politica sia un collegamento di fatto. Le due vicende sono: l'annosa regolarizzazione del centro sociale Leoncavallo, grande supporter di Pisapia fin dalla campagna elettorale, anzi prima, fin dalle primarie che lo designarono candidato sindaco del centrosinistra. E la tardiva e velleitaria decisione di denunciare i writer, i forsennati imbrattatori di ogni facciata, muro, portone, saracinesca, cartello e di qualsiasi superficie disponibile in città. La contraddizione politica - semplificando - sta nella constatazione che se la prima iniziativa è evidentemente «di sinistra», la seconda può essere considerata inutilmente «di destra». Inutilmente perché è noto che nessuno riuscirebbe a bloccare e identificare gli imbrattatori da denunciare, i quali, comunque della denuncia si farebbero un baffo, anche perché, com'è noto, molti di essi sono stranieri che trovano più comodo e gratificante venire a fare le loro porcherie qui da noi dove non si rischia niente.
Per quanto riguarda il prediletto Leoncavallo, in realtà più che di una questione legale si tratta di una faccenda immobiliare che si trascina da anni: un scambio di immobili con la famiglia Cabassi, proprietaria consenziente dell'attuale sede dello storico centro sociale in via Watteau, in modo da consentirgli di restarci. A spese del Comune, cioè nostre, naturalmente. Il fatto singolare è che un percorso del genere fu tentato anni fa anche dalla giunta Albertini, per iniziativa di uno dei suoi più brillanti assessori: Sergio Scalpelli. Da parte del sindaco c'era la massima disponibilità (ma non a far pagare al Comune i costi dell'operazione) a patto che i rappresentanti del Leoncavallo sottoscrivessero una chiara e netta rinuncia di ogni forma di violenza e di illegalità. Richiesta tutt'altro che peregrina, dati certi precedenti e certi comportamenti dei centri sociali soprattutto in occasione di manifestazioni e cortei. Naturalmente i «leoncavallini» si rifiutarono di prendere quell'impegno con le solite acrobatiche e scontate argomentazioni ideologiche del tipo: «La violenza non è nostra ma delle istituzioni», «Firmiamo a patto che anche lo stato rinunci a ogni forma di repressione» e altre prevedibili sciocchezze del genere. Siccome Albertini è un testardo non se ne fece nulla. Mi chiedo ora se anche Pisapia abbia ritenuto opportuno porre quella stessa ragionevole condizione ai suoi amici e supporter del «Leonka». Ma no, gli sarà sembrata superflua, se non una provocazione. D'altra parte per Carmela Rozza, quando era capogruppo del Pd a Palazzo Marino, il Leoncavallo «ha fatto un percorso di regolarizzazione, si è dato uno statuto
». Secondo lei tanto dovrebbe bastare. E invece - ecco il collegamento con l'altro annuncio, quello «di destra» - Pisapia dovrebbe tenere presente che molti dei writer che lui vuole inutilmente denunciare trovano ospitalità, appoggi, coperture e comprensione nei diversi centri sociali della città. Potrebbe accadere, dunque, che un giorno le forze dell'ordine siano costrette a entrare nella sede del regolarizzato Leoncavallo per identificare o fermare un imbrattatore.
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