"Racconto l'amore a teatro, gli attori sfilano in mutande"

Lo stilista debutta anche come regista all'Elfo Puccini: "Cerco contaminazioni, ho messo a nudo i sentimenti"

"Racconto l'amore a teatro, gli attori sfilano in mutande"

Le sue sfilate sono sempre dei racconti molto teatrali, ricchi di poesia, storie, contaminazioni di generi e culture. Antonio Marras non è solo uno stilista: è un artista, un appassionato d'arte, un costumista. E ora, in piena Fashion Week, debutta (anche) come autore e regista teatrale. Ieri sera ha aperto la stagione dell'Elfo Puccini con la sua opera prima Mio Cuore Io Sto Soffrendo. Cosa Posso Fare Per Te? (in scena stasera alle 20,30).

Oggi il teatro di Corso Buenos Aires ospita la sua sfilata («le modelle? Saranno sul palco e tra il pubblico»). In serata, lo stilista di Alghero torna dietro le quinte come regista per la seconda replica della pièce che «racconta l'impossibilità di governare i sentimenti». Lo spettacolo scritto e diretto da Marras ha già raccolto successi in altri teatri e «a maggio saremo a New York». Intanto per l'Elfo ha creato un'installazione permanente che raffigura una massa di gente in movimento.

Sul palcoscenico anche i suoi meravigliosi abiti?

«Non ci sono molti costumi in scena: attori e performer (20 in tutto ndr) sono in mutande. In alcuni momenti gli abiti sono appoggiati ai loro corpi: volevo che non ci fossero costrizioni e che i sentimenti fossero messi a nudo».

La sfilata sarà più teatrale del solito?

«Ci sarà molto di teatrale ma è tutta un'altra storia, una storia tra Sardegna e Giappone».

Dopo la moda e l'arte come è approdato al teatro?

«Da incosciente e ignorante. Il mio approccio è invadere campi e cercare contaminazioni senza pretese né paure. Mi sono immerso in questa avventura aiutato da professionisti e grandi attori come Ferdinando Bruni, che si sono prestati a questo gioco a rischio della loro carriera, li ringrazio per aver continuato a seguire questo progetto che per natura cambia ogni volta».

È come se avesse seguito una sorta di canovaccio quindi?

«No, i testi ci sono e sono anche molto complessi. Ma questa non è una commedia, non un musical (che io adoro), non ho una definizione, dentro ci sono tanti frammenti di vita, dolori, distacchi, raccontati partendo da una tappa fondamentale della mia esistenza, la mostra in Triennale Nulla die sine linea: nessun giorno senza usare la matita. Ho messo in scena lo stesso tormento. È un lavoro che non lascia indifferenti. Credo di esser riuscito a parlare un linguaggio universale».

Il titolo è tratto da una canzone di Rita Pavone, perché?

«Come tutte le canzonette ha un fondo di verità, e la racconta nella maniera più semplice».

Per il teatro lei ha fatto anche il costumista. Ci racconta di quando la chiamò Luca Ronconi?

«A parte Ronconi e Lella Costa, che è una carissima amica, non ho fatto molti costumi. Con Ronconi è stata un'esperienza molto forte, erano tutti terrorizzati dal fatto che ci potessimo scontrare. Mi invitò a cena e mi disse: Sarei molto onorato se venisse a lavorare con me, per Sogno di una notte di Mezza Estate, io avrei fatto qualsiasi cosa pur entrare al Piccolo. E ci fu un'intesa straordinaria. Lavorare con la sua sartoria è stata una delle esperienze più belle».

Lei vive (anche) a Milano. Quanto si sente milanese?

«Molto. Per me Milano è come un'appendice, vivo in zona Solari, una sorta di villaggio; conosco quasi più persone qui che ad Alghero.

A Milano devo dire grazie, in questi anni sta vivendo un fermento mai visto, c'è un coinvolgimento della città che era tipico di Parigi, dove tutti gli eventi erano partecipati, Milano sembrava più distaccata...ora grazie al design e alla moda è tornata questa voglia di fare, di crescere. La gente sta bene, qui. Milano è bella, non ho altri aggettivi».

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