"Certo che ci sono rimasto male, mi sarebbe piaciuto avere il mio sindaco accanto, anche perché lui sa che sono al di sopra delle parti. Non ho idea di cosa sia successo, probabilmente siamo nel campo delle ideologie". Piero Tarticchio, istriano classe 1936, è un esule, un testimone, forse l’unico residente di Segrate, nel Milanese, ad aver vissuto sulla propria pelle il dramma dell’esodo e la persecuzione titina.
È un simbolo, il simbolo di quelli che italiani lo furono due volte, per nascita e per scelta. Quelli costretti a lasciare tutto pur di non rinnegare l’identità di cui andavano fieri. Un gesto che in patria non valse nè gloria nè onori, ma accuse di fascismo e condizioni di vita precarie dalle quali si sono riscattati silenziosamente e con fatica. Il suo nome è tornato alla ribalta qualche settimana fa, quando il Comune di Milano gli ha negato l’Ambrogino d’oro. "Ai voti hanno prevalso i veti", è il gioco di parole usato da Tarticchio, scrittore ed ex direttore del mensile "Arena di Pola", per commentare l’accaduto. La sua esclusione dall’elenco degli assegnatari delle benemerenze civiche ha fatto indignare il centrodestra, in particolare la Lega, che ne aveva proposto la candidatura, e tutti quelli che si battono per conservare e tramandare la storia del confine orientale.
Così oggi, nel suo comune di residenza, Segrate, anch’esso a guida Pd, si sarebbe dovuta tenere una sorta di premiazione "riparatrice". Un’idea del Comitato 10 Febbraio, nata per reagire all’ingiustizia dell’onorificenza negata. Le cose però non sono andate proprio da manuale. A poche ore dall’inizio dell’evento il sindaco Paolo Micheli ha dato forfait e agli organizzatori è stato comunicato che nessun membro della giunta era disponibile a presenziare in sua vece. "Siamo rimasti spiazzati, contavamo sulla presenza del primo cittadino. Ringrazio comunque il consigliere Luca Sirtori per aver partecipato a un evento che aveva il solo scopo di rendere omaggio a un uomo che rappresenta la storia d’Italia", spiega Emanuele Merlino, presidente del Comitato 10 Febbraio. Comprensibile il disorientamento del protagonista. "Non ne faccio una questione personale, è una mancanza di rispetto per ciò che rappresento – spiega l’esule – e per la mia gente".
Tarticchio non è uno che si piange addosso. Nonostante abbia dovuto ingoiare l’ennesimo boccone amaro, non indugia nel vittimismo e nelle recriminazioni. Ha una "missione" da portare avanti e questa è l’unica cosa di cui gli importa davvero. "Il bilancio è stato comunque positivo, davanti a me avevo delle persone interessate a conoscere la storia della mia gente, e ho potuto fare ciò che mi ripaga di più: raccontare la verità". La sua è una verità dolorosa. Un padre prelevato nel cuore della notte dall’Ozna, la spietata polizia politica di Tito, che non ha più fatto ritorno a casa e uno zio sacerdote, don Angelo Tarticchio, morto dopo orrende sevizie. Il signor Piero ha perso sette parenti nella stagione di sangue che ha macchiato indelebilmente la sua infanzia. Così ogni volta che si trova davanti a una platea pensa a loro, parla a nome loro, li riscatta dagli anni di silenzio e oblio.
"È una vita che mi prodigo per fare memoria, quando vengo invitato a parlare, spesso, mi affiancano lo storico di turno e a me viene chiesta un’opinione, ma la mia – ci tiene a specificare – non è un’opinione, io quella storia non l’ho studiata sui libri, io l’ho vissuta". Forse per questo la sua voce è così scomoda.
"Per tanti anni siamo stati messi alla gogna perché abbiamo voltato le spalle al paradiso comunista, oggi i tempi sono cambiati, ma non sono cambiati gli atteggiamenti, soprattutto da parte di certi organismi legati alla vecchia ideologia: parliamo tanto di rigurgiti fascisti ma – conclude l’esule – non diciamo che il comunismo in Italia non è mai morto. È sempre vivo e palpitante".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.