Per salvare Malpensa serve una «zona franca»

Per salvare Malpensa serve una «zona franca»

Quanti da anni si affannano, fino ad ora inutilmente, in sempre più fantasiosi tentativi di «salvare l'Alitalia» devono dirci una buona volta se per loro i lavoratori romani della compagnia, dello scalo di Fiumicino e del relativo indotto valgono meno di quelli lombardi della Sea, di Malpensa e dell'indotto. Già una volta, quando, nel 2008, abbandonò lo scalo varesino per concentrarsi su quello laziale, mettendo così per strada diverse centinaia di lavoratori lombardi, la ex compagnia di bandiera, oggi (forse) italo-araba, dimostrò di tenere di più ai primi. Ora ci risiamo. Ma nel rutilante susseguirsi di indiscrezioni, voci, smentite, conferme e polemiche una sola cosa è chiara: Malpensa diventerà uno scalo prevalentemente cargo, cioè adibito al trasporto merci. Idea non geniale, tipo scoperta dell'acqua calda, visto che già oggi è il primo scalo cargo in Italia è uno dei maggiori in Europa. Per quanto riguarda il traffico passeggeri, poi, si sente di tutto, ma di certo c'è che, se va bene, l'aeroporto nella brughiera avrà una funzione marginale, complementare di servizio per Fiumicino. L'aerostazione quindi si svuoterà, semideserta metterà una tristezza infinita e le botteghe del made in Italy, i bar, i ristoranti e i vicini alberghi, alcuni dei quali appena costruiti a poco a poco chiuderanno. Si parla di 5000 posti di lavoro persi. È chiaro che a questo cupo destino bisogna ribellarsi. Bisogna reagire, magari cominciando proprio da quell'unica, riduttiva certezza, il destino cargo di Malpensa, ma senza rinunciare, beninteso, alla prospettiva di un traffico passeggeri degno di un hub o almeno un grande aeroporto intercontinentale. E allora lanciamo subito una controproposta: Malpensa cargo sì – lo è già! - ma porto franco: uno scalo cioè, che godendo di un regime fiscale e doganale particolarmente vantaggioso, risulti economicamente attraente e competitivo. Non è certo quello che sognavano quanti fin dagli anni '70, del secolo scorso - quando Alitalia era davvero la grande compagnia di bandiera - progettavano un grande hub del Nord. E non è neppure quello che immaginava la grande archistar Renzo Piano quando disegnava la bellissima aerostazione. No, niente di tutto questo, ma un primo importante passo per salvare almeno parte del lavoro che ruota intorno a Malpensa. La cui funzione cargo non può essere quella di un qualsiasi aeroporto dove arrivano le merci e, prima di ripartire per altre destinazioni, se va bene vi stazionano per un po'. Perciò le élite economiche, politiche e sociali lombarde e del Nord si facciano subito carico di questa forte richiesta, e lo facciano con l'energia che l'emergenza richiede, chiarendo che è il primo passo di una più ampia rivendicazione di Malpensa grande scalo intercontinentale del Nord. Sia chiaro, non è questione di Expo, non è per questo evento importantissimo ma straordinario che il Nord ha diritto ad un suo hub. Ne ha bisogno perché è la parte più produttiva, popolosa, ricca e dinamica del paese, lo era prima di Expo e lo sarà anche dopo. Una compagnia aerea che non ne tenga conto è destinata a fallire, com'è ripetutamente accaduto fino ad oggi.

Resti comunque chiaro che con quei 600 milioni che si apprestano a sborsare per diventare l'influentissimo azionista di riferimento della compagnia, gli arabi di Etihad non possono comprare anche la fine o l'emarginazione di Malpensa e perfino la politica italiana del trasporto aereo, dettando i ruoli dei principali scali nazionali, Fiumicino, Linate e Malpensa. Perciò, limitandoci per ora all'unica certezza, se cargo deve essere almeno che sia porto franco, che sia davvero strumento di crescita e di salvaguardia dell'occupazione.

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