Nella vicenda del San Raffaele, ancora lontana da una conclusione, è stato adottato un modello di relazioni sindacali del tutto coerente con l'accordo interconfederale sottoscritto tra Cgil, Cisl e Uil da una parte e Confindustria dall'altra. Ciò è tanto più rilevante perché la maggioranza dei lavoratori sindacalizzati aderisce ad un sindacato autonomo che, al pari delle organizzazioni confederali, si è trovato a gestire una crisi aziendale tipica dei settori privati manifatturieri o dei servizi. E' vero che l'ospedale fondato da Don Verzé, gestito da una Fondazione, è sempre stato una realtà di natura privata anche se finanziata (come tutti gli enti analoghi) dalla Regione, i contratti di lavoro applicati erano quelli della sanità pubblica con una significativa contrattazione integrativa aziendale. La crisi sopravvenuta ha posto tutti di fronte ad uno scenario imprevisto. La nuova proprietà ha posto come condizione un progetto di risanamento che, partito con l'obiettivo di tagliare oltre 400 posti di lavoro, è approdato nel corso della trattativa ad una soluzione alternativa di riduzione del costo del lavoro (e in pari misura anche delle retribuzioni) distribuita su tutti i dipendenti che avrebbe evitato i licenziamenti. L'accordo è stato firmato al ministero dalla maggioranza della delegazione incaricata di trattare ma è stato bocciato pochi giorni dopo dal referendum di tutti i lavoratori dell'ospedale. Da un punto di vista democratico la procedura è ineccepibile. Ma i risultati non sembrano altrettanto convincenti sotto il profilo della qualità anche se nel mondo sindacale qualcuno ha affermato che «con il no si è tutelata la dignità dei lavoratori». Questo è un grande problema politico perché, se la vicenda mette in luce un orientamento tra i lavoratori che non premia una scelta solidaristica, non si può certo cancellare con un tratto di penna la volontà della maggioranza. Il numero dei licenziamenti oggi minacciati è passato a 244 rispetto agli oltre 400 iniziali. Le organizzazioni sindacali chiedono di integrare l'accordo utilizzando la cassa integrazione e i contratti di solidarietà. D'altra parte l'interesse della proprietà non è quello di indebolire le organizzazioni sindacali ma di garantire conti economici in ordine. Ma una riflessione è necessaria.
La democrazia delegata (che è una forma alta di democrazia) sarà per sua natura inevitabilmente «ristretta» rispetto a quella assembleare, ma dimostra spesso di essere più efficace se si ritiene prioritaria la difesa degli interessi generali.*Segretario UIL di Milano e Lombardia
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