Sculture, loft e vetrate: la sala da pranzo diventa museo contemporaneo

I locali di chef e grand hotel sono laboratorio ideale per far incontrare arte e buona cucina

Maurizio Bertera

Non è la prima ragione per andare a mangiare o bere un drink, ma l'estetica ha un ruolo sempre più importante nei locali. Questo non toglie fascino alle care vecchie trattorie o ai ristoranti classici se ben tenuti ma le frontiere della nuova architettura hanno trovato nella ristorazione un interessante laboratorio: da un lato, il patron ha un'arma in più per offrire un'esperienza completa e dall'altro, il designer mette in mostra la sua arte in «qualcosa» che ha un forte riscontro di critica e di pubblico come attualmente può essere un locale di fascia medio-alta o alta.

Milano è capitale anche in questo, lo era prima dell'Expo e lo è diventata ancora di più tra il 2014 e il 2015, fermo restando che anche in questa stagione ci sono state aperture importanti: il ristorante di Enrico Bartolini all'interno del Mudec di via Tortona 56, firmato da Catellani & Smith; il Lume chef Luigi Taglienti che è il gioiello di W37, il complesso con ingresso da via Watt 37 (da qui il nome) che si è insediato sull'ex Richard-Ginori ed è firmato da Monica Melotti; la Trattoria Trombetta in largo Bellintani, ottimo esempio di come lo stile contemporaneo e la memoria dell'osteria trovino armonia in un apparente contrasto. Non a caso, il locale ideato da Giancarlo Morelli stellato al Pomiroeu di Seregno ha un successo trasversale. Giugno ha portato anche all'atteso debutto del nuovo D'O di Cornaredo (che i gourmet considerano milanese), a pochi metri da quello precedente, praticamente in piazza grazie al gioco delle ampie vetrate. Ma nel design è stato un passaggio dalla Terra alla Luna: sul progetto di Davide Oldani sono intervenuti i tocchi di classe di Piero Lissoni per un risultato che conquista. Un mix di casa vedi il tinello a fianco della cucina e di bistrot, italianissimo ma anche nordico per alcuni aspetti. Lissoni era intervenuto in maniera più massiccia nella trasformazione del Gold in piazza Risorgimento, quando si insediò Filippo La Mantia: dallo stile Dolce & Gabbana si è passati a un loft su due piani, ricco di citazioni e con tanti elementi di arredamento, ideati dall'architetto milanese.

A dare una ventata di novità sono stati anche i grand hotel: il Mandarin Oriental di via Andegari seguito da Antonio Citterio Patricia Viel Interiors - ha puntato su uno stile internazionale per bar & bistrot mentre il ristorante Seta dove regna Antonio Guida è più avvolgente; l'Excelsior Hotel Gallia lo si vede nella Terrazza Gallia, all'ultimo piano è un mix di art decò e modernità, come voluto da Marco Piva. A proposito di terrazze, difficile trovare qualcuno a Milano che non ami il Ceresio 7 Pools & Restaurant, all'ultimo piano della sede D2Squared: locale che non stonerebbe a Londra o New York (ci stanno pensando, infatti) con due piscine esterne e il ristorante-bar che si basa su un mix bellissimo, fatto di colori sofisticati e materiali vari (ottone, marmo, legno) con effetto vintage. L'interior design è opera di Dimore Studio. Potremmo definire neo-classici invece i ristoranti di Andrea Berton a Porta Nuova e Alice - Eataly Smeraldo (firmati rispettivamente Vudafino Saverino Partners e Eataly Design): molto puliti, con tanti elementi di design inediti o di richiamo al passato, giocati su legni e luce naturale. Più museale che classico è Larte in via Manzoni 5, vetrina di Fondazione Altagamma (le aziende dell'eccellenza italiana nel wine & food e non solo), che non a caso è anche galleria d'arte.

Poi ci sono i locali che fanno discutere, perché sono fuori da uno stile preciso o lo chef-patron decide di seguire il suo copione: l'esempio più illustre è quello di Carlo e Camilla in Segheria, il bistrot di Carlo Cracco (a proposito, chissà come sarà il design del gioiello in Galleria, atteso per il 2017...) in via Meda 24: un recupero geniale, a nostra avviso di una segheria in disuso, trasformata in sala per la cena con lampadari antichi e un solo tavolone da 65 posti a croce. L'idea è stata dell'art director Tanja Solci, con ampio intervento dello chef più amato dalle italiane e del cognato Nicola Fanti. Ma il posto non piace a tutti, come Contraste, il ristorante che Matias Perdomo ha aperto nella stessa via, al numero 2: un ex show room, pareti bianche e soffitti affrescati dove il «contrasto» trova riscontro (per alcuni felice) in dettagli quasi onirici come i grandi lampadari in silicone rosso o la scultura che fuoriesce dal muro all'ingresso. Più univoco il giudizio (positivo) su Spazio, bistrot moderno di Niko Romito uno dei tristellati Michelin in Italia inserito nel progetto del Mercato del Duomo (by Autogrill), curato da Michele De Lucchi: caldo, elegante e di effetto nella sua apparente semplicità.

Chiudiamo con i locali etnici, che nell'ultimo decennio hanno in parte condizionato quelli italiani per il predominio del colore nero, la divisione dello spazio e la bassa illuminazione.

Il solo dell'ultima generazione che merita è Gong, terzo ristorante della famiglia Liu (quella di Iyo, unico stellato etnico in Italia e Ba Asian Mood) che si è affidato allo studio Nisi-Magnoni: i tre gong, in onice e pesanti 700 chili l'uno, sono talmente grandi e suggestivi che si notano passando in piazza Risorgimento. Grande idea.

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