Sea, tra privato e pubblico occhio alla Ue il commento 2

Fino a poco tempo fa sembrava che il sindaco Giuliano Pisapia non volesse neppure sentir parlare della possibilità che il Comune di Milano ceda una parte del suo pacchetto azionario di Sea alla Regione, richiesta più volte avanzata dal presidente Roberto Maroni. Ora Pisapia sembra più possibilista, si dichiara disposto a «sedersi a un tavolo» per «vedere» la proposta del Pirellone. E se lo dice è evidente che sta già trattando. A due condizioni, però, aggiunge. La prima, che il controllo della società resti in mano pubblica – chiedo, e perché? La seconda condizione, che Palazzo Marino resti socio di maggioranza relativa – ancora, e perché? A parte il solito tic ideologico - dal quale Pisapia ha più volte mostrato di essere affetto - per il quale pubblico è bello e buono, privato è brutto e cattivo, non si capisce il motivo per cui una società che agisce su uno scenario globale gestendo un aeroporto internazionale come Linate e uno intercontinentale con (frustrate) ambizioni di hub come Malpensa, debba essere necessariamente controllata da un Consiglio comunale, per giunta di una città che fra qualche mese dovrebbe diventare parte minoritaria, quasi un terzo della nuova città metropolitana.
Sono abbastanza evidenti a questo proposito gli effetti sul sindaco e sulla maggioranza di certe ossessioni dei sindacati, per i quali, in sostanza, la perdita del controllo di Sea da parte del Comune porterebbe inevitabilmente alla privatizzazione, giacché il fondo F2i di Vito Gamberale detiene già il 44% del capitale azionario. Ma è davvero singolare che proprio i sindacati – ma non solo loro – diano l'impressione di trascurare due questioni tutt'altro che di dettaglio, destinate a condizionare pesantemente il valore e le prospettive di quell'azienda, pubblica o privata che sia. Mi riferisco al futuro di Malpensa, destinato a una inevitabile agonia se dopo l'abbandono di Alitalia non ritrovasse in qualche modo una sua forte funzione intercontinentale, se non di hub almeno di grande scalo «point-to-point»; anche ridefinendo il ruolo di Linate che oggi sottrae traffico a Malpensa per portarlo prevalentemente su altri hub. Si tratta di trovare quella «convivenza intelligente» fra i due scali milanesi, della quale parla il presidente della Sea Pietro Modiano. Ma penso soprattutto alla micidiale stangata da 360 milioni che la Commissione europea ha rifilato a Sea Handling, l'azienda dei servizi a terra interamente controllata da Sea. Per i mastini di Bruxelles la ricapitalizzazione della società «figlia» da parte di un'azienda pubblica equivale a «aiuti di stato». Tesi contestabilissima e contestata fino ad ora senza successo. Una grana colossale che Modiano si è trovata sul tavolo al suo arrivo e che sta cercando di risolvere, pare, trattando serratamente con Bruxelles. Pagare quella penale significherebbe dover di fatto chiudere Sea Handling e mettere per strada i suoi 2.500 dipendenti le cui proteste, ne siamo certi, bloccherebbero per giorni Malpensa e Linate. A quel punto anche le sorti della Sea sarebbero a rischio. Dunque altro che derby Palazzo Marino-Pirellone, altro che alternativa pubblico-privato. In ballo c'è ben altro, c'è il futuro, la sopravvivenza della Sea e del sistema aeroportuale milanese.

Semmai i sindacati – e con loro il sindaco – dovrebbero tener presente la possibilità che una ridefinizione dell'assetto azionario di Sea, se non addirittura la sua privatizzazione potrebbero dare la possibilità, anche ai mastini di Bruxelles, di smetterla di parlare di «aiuti di stato» per venire fuori da una situazione così difficile.

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