Stuprata dall’amico conosciuto sul web

Stuprata dall’amico conosciuto sul web

Probabilmente il suo stupratore non riusciranno ad arrestarlo. Perché lei, la vittima violentata, continua ad assicurare agli investigatori di non averlo mai visto prima. E che quel tipo è «un pazzo sconosciuto». Dopo aver visionato il computer della donna, e soprattutto aver considerato con attenzione la sua frequentazione su social network come «Facebook», però, sono molti, troppi, gli elementi che non tornano agli investigatori della polizia nella brutta storia accaduta nel parco di villa Litta, ad Affori il 26 maggio. Quando una 42enne impiegata di uno studio legale è stata seviziata poco prima delle 8.30 del mattino.
Una storia spaventosa perché, senza scendere negli squallidi dettagli di questo stupro o voler rimestare nel torbido (operazione della quale i giornalisti vengono spesso, magari ingiustamente magari no, accusati, ndr) non si è trattato di una violenza come un’altra. Ma di una sorta di «sfregio», di vendetta. Un atto del genere, consumatosi tra due totali sconosciuti, a Milano, infatti, non si era visto mai. Ed è naturale, quindi, che gli investigatori comincino a pensare che l’uomo e la donna potessero conoscersi. La poveretta potrebbe aver dato involontariamente a un uomo «incontrato» solo su Facebook delle informazioni che gli hanno permesso di rintracciarla e di stuprarla a quel modo. E, purtroppo, non si può nemmeno escludere che i due abbiano avuto una vera e propria relazione, anche brevissima e che l’uomo - che resta comunque uno squilibrato - non voleva troncare. Naturalmente, se così fosse - e siamo sempre nel campo delle supposizioni - l’impiegata violentata, donna sposata e con famiglia, avrebbe più di una ragione per negare di non aver mai visto prima il suo aggressore.
Intanto nel quartiere - che non è certo una delle zone a basso tasso di criminalità di Milano, ma neanche una sorta di Bronx - i residenti ancora si domandano come nessuno, a quell’ora, abbia potuto notare quella terribile scena, sentire le grida di quella poveretta, violata così pesantemente nella sua intimità. Ci si chiede anche come tutto sia potuto accadere, con quelle modalità, in pochi attimi. Momenti preziosi che hanno permesso allo squilibrato di agire e poi scappare.
Il luogo indicato dalla donna come «teatro» dello stupro infatti, non è la palazzina dismessa in attesa di restauri all’ingresso del parco o il vicolo stretto che porta a un cantiere edile oltre il muro di cinta; ma un rettangolo di muratura sormontato da un pavimento di vecchie mattonelle, che dicono essere stato negli anni una sorta di palco per le orchestrine e gli spettacoli estivi: impossibile non notarlo dall’ingresso della villa e da quello delle scuole comunali.
La signora continua a sostenere con convinzione davanti agli investigatori, con gli psicologi, con i medici dell’Svs (il Servizio violenze sessuali della clinica Mangiagalli) e con il marito - il primo ad accorrere quando lei era ancora chiusa nell' ambulanza, in lacrime, coperta da un telo termico e circondata dall’equipaggio di una delle volanti giunte sul posto - quel che dice dal primo giorno.

E cioè che quell'uomo che l'ha assalita alle spalle qualche minuto dopo che aveva portato a scuola il suo bimbo, in via Faccio, non lo dimenticherà mai: italiano, capelli corti, biondo, atletico. Le telecamere della zona, al momento, non sono state d’aiuto. E dei testimoni che avrebbero visto quel tizio fuggire, la polizia non ha mai confermato l’esistenza.

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