Maurizio Bertera
Se Milano avesse il mare, sarebbe facilmente Barcellona e tutti andrebbero a vela. Battuta a parte, la nostra città ha un piccolo mare l'Idroscalo dove migliaia di ragazzini hanno scoperto lo sport della scotta (grazie ai corsi della Lega Navale Italiana) e qualcuno ha iniziato una brillante carriera, acchiappando i refoli d'aria sotto i decolli da Linate: ci viene in mente Silvia Sicouri, che ha sfiorato una medaglia all'Olimpiade di Rio.
Ma proprio l'assenza di acqua salata, è stata una «molla» fantastica per navigare in Mediterraneo, sino all'Oceano. La «filiera» meneghina ha avuto come padri nobili Ambrogio Fogar primo italiano a compiere la circumnavigazione in solitario e Giorgio Falck, l'armatore della serie dei Guia con cui vinse prestigiose regate e partecipò a varie edizioni del giro del mondo in equipaggio.
Negli anni '90 è emersa la stella di Giovanni Soldini (per la cronaca, fratello del regista Silvio e di Emanuele, direttore dello Ied) che dopo tante regate in solitario e non, si sta dedicando ai tentativi di record con Maserati. Le imprese soldiniane hanno un barchino di sei metri e mezzo dal nome che più meneghino non si può: «Alla Grande!».
Ma c'è una famiglia milanese che ha fatto più di tutti per la vela oceanica italiana: quella dei Malingri, tornata alla ribalta per la splendida prestazione di Vittorio. A 55 anni si è tolto lo sfizio di frantumare il record della traversata Marsiglia-Cartagine: 42 ore e 54 minuti su una rotta di 454 miglia - su strada è come andare a Bari impiegando undici ore in meno del tempo di riferimento, stabilito dai francesi Yvan Bourgnon e Jeremie Lagarriegue. E da uomo-copertina lo ha fatto su «Feel Good», catamarano lungo sei metri e con a prua il figlio Nico.
«Ugo» (nick storico di Vittorio Malingri) è fatto così: ogni tanto esce dal letargo dal suo «buen retiro» di Gubbio dove vive con quattro figli, facendo olio - e ritorna al suo elemento naturale.
Segue le orme di zio Doi che era al via del primo giro del mondo in equipaggio e soprattutto del padre Franco, mito per i navigatori di casa nostra: non solo ha progettato la lunga serie dei Moana via italica alle open oceaniche ma ha educato intere generazioni alla vela, concittadini in primis.
Un ruolo di «maestro del mare» che ha passato a Vittorio, responsabile dei corsi di Ocean Experience, la scuola di famiglia. Non stupisce quindi che a prua di «Feel Good» ci fosse Nico Malingri, classe '91, che appena preso il diploma ha scelto il mare come stile di vita.
«Non ho mai forzato mio figlio, come Franco non l'ha mai fatto con me racconta Vittorio è stato qualcosa di naturale. Io piansi quando zio Doi non mi imbarcò su CS&RB alla Whitbread nel '73 (ndr, l'attuale Volvo Ocean Race), lui era piccolissimo alla partenza del Vendée Globe Challenge dove mi ritirai in quarta posizione. Non sarà un caso».
Una carriera non noiosa quella di «Ugo» Malingri, ricca di tante partenze con budget risibili in qualche caso e di storie curiose: nel '96 per esempio, corre la Quebec-Saint Malo in compagnia del fratello Enrico (che ha fondato una scuola di vela negli Emirati Arabi...) e di una sconosciuta ragazzina inglese, che pare un maschietto.
Si chiama Ellen Mac Arthur ed è alla prima esperienza oceanica: «Senza saperlo, abbiamo insegnato a planare sulle onde a una delle più grandi navigatrici di sempre» sottolinea ridendo.
Non sono mancate le disavventure: la più nota risale al 2005: il drammatico ribaltamento di Tim Progetto italia, in Atlantico, quando a bordo si trova con Soldini.
Suo fratello «da parte di mare» come lui lo definisce, cresciuto con la tribù Malingri tra la base caraibica di Cayo del Sur e traversate atlantiche. Si conoscono sin da ragazzini - le madri sono amiche d'infanzia - ma sono diversi: Vittorio è anticonformista, meno uomo di mondo di Giovanni e più sognatore.
«Dopo che a 17 anni, ho fatto il primo giro del mondo con la famiglia non sono più tornato. Ho perso il conto delle miglia percorse, saranno più o meno 400mila» ama ripetere.
L'esperienza sul trimarano gli ha trasmesso la voglia di multiscafi piccoli, sennò non si soffre un po' e la fissa dei record, soprattutto in Atlantico.
Dopo il tentativo del 2008 sulla rotta Dakar-Guadalupa, è tornato in mare quest'anno dopo aver trovato in Citroen lo sponsor ideale visto che ama molto le auto (e le moto) da fuoristrada con cui ha compiuto raid in Africa e Centroamerica.
È entrato a far parte dell'Unconventional Team, promosso dalla Casa transalpina: il «vecchietto» ma solo anagraficamente - tra giovani kiters, surfisti e snowboarders. E ha visto giusto puntando sul figlio già esperto (undici traversate atlantiche a 25 anni...) e molto tecnico («La rotta vincente è tutta merito suo»).
Prossime sfide? «Stabilire il tempo di riferimento della Portofino-Giraglia e in inverno battere il prestigioso record della Dakar-Guadalupa che è di 11 ore e 11 giorni. Non è retorica: attraversare l'oceano con una piccola barca non abitabile consente di ritrovare il rapporto primordiale tra uomo e il mare».
Una curiosità; navigare per il mondo e abitare a Gubbio non gli ha tolto l'inflessione e la comunicativa molto meneghina.
«Raga, ho trovato più casino lì che in Corso Como il venerdì sera!» resta la sua tipica espressione per definire la partenza affollata e a tutta velocità delle Transat.Ora, inseguendo un record dopo l'altro, almeno non ha problemi per cercare il parcheggio. Grande Ugo.
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