«Ve lo dico con certezza, sono ammalato di pedofilia». Prima di tentare il suicidio, collegando una canna di gomma al tubo di scappamento della sua auto, Paolo Bovi si è guardato dentro, nella parte più cupa di sè, e ha scritto ai propri genitori. «Sono malato da tantissimo tempo». L'ex fonico e fondatore della band «Modà» era ai domiciliari con l'accusa di aver abusato di quattro ragazzini, e venne salvato dai carabinieri grazie all'impulso emesso dal braccialetto elettronico che il 40enne aveva manomesso con un cacciavite. Quella lettera - o almeno, una parte - è ora riportata nelle motivazioni della sentenza con cui nell'ottobre scorso il gup Franco Cantù Rajnoldi lo ha condannato a cinque anni e mezzo di reclusione. Una confessione tragica, parte di un doloroso messaggio con cui Bovi intendeva dare l'ultimo saluto ai familiari. E che apre una finestra sul lato oscuro di un uomo in balia dei propri demoni.
«Sono malato da tantissimo tempo - scrive il 40enne ai genitori -. Per quello che riesco a ricordare già dalle scuole medie credo. Sono sempre stato un bambino sensibile, dolce e sincero e ho sempre creduto che ogni cosa che dicevano papà e mamma era la verità. Per me quello che mi dicevano i miei genitori era la cosa più importante. Sono sempre stato buono e volevo conoscere il mondo come tutti. Purtroppo e ve lo dico con certezza, sono ammalato di pedofilia. L'ho capito quando alle superiori ho sentito per la prima volta quella parola e l'ho cercata sul vocabolario. Una sola riga che descriveva esattamente le mie sensazioni». E così, col tempo, quelle sensazioni prendono il sopravvento.
Secondo al ricostruzione fatta dagli inquirenti, nel 2011 Bovi molestò quattro ragazzini tra i 14 e i 16 anni, conosciuti in una parrocchia dell'hinterland milanese dove l'ex fonico faceva l'educatore. Le molestie sarebbero avvenute in occasioni particolari, come una gita e un campeggio in Val d'Aosta organizzati con i ragazzi dell'oratorio. Abusi mascherati da giochi e «penitenze» chieste dal musicista ai minorenni. «Io non mi sentivo in grado di dire di no - è il racconto di una delle vittime -, perché ho sempre seguito i suoi consigli anche in campeggio e le cose che lui faceva, e gli sono sempre andato dietro e non era uno sconosciuto ma lo sentivo come un fratello grande del quale fidarmi ciecamente. Mi sono sentito tradito e poi ho compreso che era successa una cosa gravissima».
Ma il giudice riserva una stoccata anche al parroco che venne a conoscenza degli abusi.
Le prime confidenze sulle presunte molestie - si legge nelle motivazioni della sentenza -, gli sarebbero state fatte a suo dire nel settembre del 2011, ma il prete avvisò i genitori di un minorenne solo il 20 aprile del 2013, senza mai sporgere denuncia, allontanando Bovi dalla parrocchia e limitandosi a dargli tre prescrizioni: non svolgere più l'attività di educatore, mettere ordine nella sua vita e non frequentare più i ragazzini anche all'esterno dell'oratorio. Regole che vennero trasgredite.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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