Tra i film dello zio Luchino, Morte a Venezia «è quello che amo di più. Un film totale, con Tadzio simbolo del fascino cui non servono parole. L'arte del cinema con la a maiuscola che raggiunge la bellezza attraverso la macchina da presa. Per tutti, per sempre. Struggente ultimo testamento dello zio». Così risponde Anna Gastel, nipote di Luchino Visconti, seduta nel salotto della casa milanese, nascosta nel cortile, un po' rifugio, un po' salotto. La Presidente del Festival MiTo- Settembre Musica si divide tra Milano, la casa di famiglia a Cernobbio e la tenuta agricola Corte Grande in Lomellina a Castellaro de Giorgi.
Siete anche agricoltori?
«Mio fratello Marco dirige l'azienda: produciamo latte, riso e cereali bio. Ognuno di noi fratelli ha una parte di cascina, così abbiamo ribattezzato il paesino da Castellaro a Gastellaro».
A Milano va a fare la spesa?
«Mi piace moltissimo, chilometri in bicicletta per scegliere anche solo un ingrediente nel posto giusto, il pane in un luogo e i grissini in un altro o il cumino dal fornitore di fiducia. Gli amici mi regalavano grandi mazzi di fiori poi hanno capito...».
Cosa?
«Che sono golosa, così Giandomenico Auricchio mi porta i provoloni neri e il suo meraviglioso gorgonzola, Gloria Levoni mi regala un salame di due metri con tagliare adeguato e poi Callipo che porta il tonno o lo Scotti che ovviamente mi porta il riso».
Milano nuova capitale?
«Una città rinata, ben guidata ed è la mia città. Mi sono laureata alla Cattolica, quanto di più milanese esista. Poi a Londra alla scuola d'arte di Christies per diventare, a 25 anni, la prima donna battitore d'asta della storia della casa inglese, a Roma. Era l'inizio degli anni Ottanta, ero una ragazza con la treccia rapita dalla bellezza di un mondo cosmopolita. Ma mi mancava la mia Milano e sono tornata».
Perché?
«Una città internazionale, con ottima qualità della vita. Musica, spettacolo, arte, mostre, c'è molto da vedere, da ascoltare».
La sua Milano gastronomica?
«Sono attratta dai sapori dell'Oriente, dalla cucina fusion, un cibo trasversale e raffinato, dal giapponese al vietnamita e Milano offre tutto questo, come al Ta-Hua, delizioso vicino al grattacielo Pirelli. La tradizione italiana la cerco alla Pesa di via Maroncelli, classico milanese dove andava lo zio Luchino, mitico per noi».
A proposito, a tavola con Luchino Visconti?
«Alla fine degli anni Cinquanta lavorava con Maria Callas alla Scala e frequentava molto noi di famiglia. Grandi tavolate, allegre piene di scherzi, noi eravamo ragazzi, una famiglia allegra e unita. Lo zio era goloso, quasi eccessivo, come in tutto, anche nel cibo. A Cernobbio, ospite di mia mamma Ida Pace detta Nane, mentre montava Ludwig mangiava in continuazione i cioccolatini Frigor. Era molto generoso con noi e con il suo clan, le persone che amava, i suoi attori, Adriana Asti, Romolo Valli, Helmut Berger».
E lei? Ai fornelli o a tavola?
«Ai fornelli, dove amo inventare con ciò che trovo in frigo. La cucina degli avanzi e della fantasia, anche se conservo gelosamente i mitici menù e le ricette di mia mamma».
Il profumo della sua infanzia?
«L'erba tagliata da mio padre nella casa di Cernobbio e lui che ci diceva andate a comprare i ghiaccioli. La gelateria confinava con il muro del giardino e noi bambini ce li facevano passare da una fessura. Estati indimenticabili, caldissime. Folli scorribande con i cugini nel prato, il profumo dell'umidità del bosco, la rugiada alla mattina e le lucciole di notte».
Il pranzo che non potrà scordare mai?
«Quello che mia mamma fece preparare per i miei diciotto anni: pasticcio di maccheroni alla napoletana, una crosta di pasta frolla quasi dolce ripiena di maccheroni, buonissimo, un piatto in mio onore. E il gelato del Sant'Ambroeus, arrivava in un grande contenitore di alluminio con le cinghie di cuoio. Dentro un incredibile alveare di zucchero filato, con le api di marzapane e gelato di crema».
Scenografico, davvero un bel ricordo.
«Lo stupore di una bambina anni sessanta, una Milano di cuochi e pasticceri che sbalordivano».
La musica quando arriva nella sua vita?
«C'è sempre stata, ho una grande passione per il canto e ho tenuto concerti jazz in Lombardia. In casa risuonavano due grandi voci dai giradischi di mio papà e mia sorella: la Callas e Mina. Cercavo di copiarle, una grande scuola. Un giorno, anni dopo, ho incontrato Mina in un negozio, ma non ho avuto il coraggio di dirle quanto fosse stata importante per me».
Da appassionata di musica a presidente di Mito-Settembre Musica.
«Da spettatrice felice di un festival innovativo che diffonde la musica nelle zone decentrate, meno conosciute. Il gemellaggio con Torino consente economie di scala formidabili, una piccola grande tournée che porta celebri orchestre e interpreti».
Questo cosa significa?
«Una modalità pervasiva che porta la musica in orari diversi e in luoghi diversi, aperti a tutti, con gli autori e gli interpreti vicini alla gente in un'atmosfera itinerante dove anche il pubblico è protagonista. Ho accettato di essere presidente di Mito per impegno civile verso un brand di grande valore».
Un bicchiere di vino?
«Con allegria, cerco di capire e scegliere per gradevolezza. Mi piacciono molto i vini dell'Oltrepò, la mia terra: acqua e pioppi. Divertente anche scovare piccole cantine e produttori che ci mettono l'anima».
Cucinare è un atto d'amore?
«Assolutamente sì, va fatto con fantasia, creatività e amore, per ciò che cucini e per le persone per cui cucini. Amo il Giappone e ho capito l'importanza del rapporto tra qualità ed estetica: tanto un fagiolino giallo e scotto è disgustoso, tanto è invogliante uno verde acceso e croccante».
La cena romantica è un'arma vincente?
«Sì (ride di gusto, ndr). Davanti a un piatto e a un bicchiere di vino c'è la schermaglia, la bellezza dello stare insieme e raccontarsi. È il preludio dell'amore».
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