Il miliardario rosso che ha chiamato il figlio Castro

Ma Raila Odinga, mandato da giovane a compiere gli studi nella Germania Est, giura di essersi lasciato alle spalle il comunismo

Il miliardario rosso che ha chiamato il figlio Castro

Ha chiamato il figlio Fidel Castro, va in giro con un gippone rosso e si è laureato in Germania est, ma Raila Odinga, 62 anni, giura di essersi lasciato alle spalle il comunismo. In realtà il perdente delle presidenziali in Kenya, che sta soffiando sul fuoco dell’odio tribale, non ha mai abbandonato la vena socialista. Ricco di famiglia, anche nell’ultima campagna elettorale continuava a promettere il Bengodi agli strati più poveri della popolazione. Devono averlo preso in parola perché soprattutto nelle baraccopoli sta straripando la violenza, dopo il voto sul quale pesa l’ombra dei brogli.

Il nome di battaglia di Odinga è «agwambo», che nel dialetto della sua tribù, i Luo, significa guerriero. Non a caso lo hanno votato anche i Masai, antichi guerrieri africani, ma ai comizi della loro tribù arrivava in elicottero. Una volta atterrato lo aspettava il suo mitico Hummer rosso, un gippone fuoristrada con tanto di autista. Le malelingue facevano notare che in garage ha anche una Jaguar blu per gli appuntamenti di affari e non di propaganda. Odinga ha studiato da giovane in Germania est laureandosi in ingegneria meccanica. Ridacchiando ha ammesso con il New York Times che «gli anni sessanta erano i tempi dell’imperialismo, con gli americani in Vietnam ed in Cambogia. Era veramente affascinante essere di sinistra». Qualche tarlo marxista deve essergli rimasto se ha chiamato il figlio Fidel Castro. Chi lo conosce sostiene che sia stato il padre, politico di razza, a influenzare il figlio con ideali socialisti senza fargli dimenticare la ricchezza e gli affari di famiglia.

Il rampollo ha avuto un esordio avventuroso nel variegato mondo dell’opposizione kenyota. Nel 1982 appoggiò un colpo di stato che per poco non buttava giù Arap Moi, allora padre-padrone del Kenya. Il risultato è che Odinga finì per otto anni in galera dove si fece le ossa. Una volta libero è diventato, un po’ alla volta, il «kingmaker» dell’opposizione. La sua base elettorale è composta dai Luo, una grande tribù, che non ha mai avuto accesso alle cariche chiave del Paese occupate dai kikuyu. Odinga ci provò a detronizzare il presidente Moi con le urne, ma arrivò terzo. Solo nel 2002 riuscì nell’impresa appoggiando Mwai Kibaki, il suo attuale rivale, che veniva eletto per la prima volta presidente. Originario della regione occidentale di Nyanza, Odinga ha fatto parte del governo, ma l’abito di ministro gli andava stretto e ben presto stracciò il patto con Kibaki.

L’elezione a capo dello Stato era il sogno del padre fermatosi solo al ruolo di vicepresidente. Per vincere Odinga ha fondato il Movimento democratico Orange e durante la campagna elettorale girava con magliette arancioni copiando i movimenti dello stesso colore che hanno avuto successo in Ucraina e Georgia.

Il 27 dicembre si sentiva la vittoria in tasca, ma alla fine l’ha spuntata l’ex alleato Kibaki con l’appoggio determinante del vecchio clan kikuyu ed il beneplacito degli Usa. Odinga ha subito gridato ai brogli facendo scoppiare il caos. Durante la campagna elettorale prometteva ai più poveri «Strade! Elettricità! Acqua!»: ora gli ha dato anche i massacri.
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