«Mission impossible» targata Violante

Luciano Violante non è tipo da starsene lì a scaldare il banco. È retrocesso di continuo come i gamberi, è vero: prima presidente della Camera, poi capogruppo diessino, infine presidente della commissione Affari costituzionali di Montecitorio. Ma si direbbe che non si curi dei pennacchi del potere. Quale che sia la bicicletta che si ritrova in mano, lui pedala a più non posso. E pretende, uomo di rigore qual è, che gli altri facciano altrettanto. La sua missione era e resta impossibile: una riforma costituzionale degna di tal nome nell’arco di questa legislatura.
Impossibile per due ordini di motivi. Primo, perché fino a ieri l’Unione, o come diavolo si chiama il centrosinistra, si è rivelata conservatrice a oltranza e si è opposta a qualsiasi proposta avanzata dalla Casa delle libertà. Al punto, tanto ha detto e tanto ha fatto, da convincere gli italiani a votare no al referendum confermativo della riforma costituzionale cara al centrodestra. Secondo, perché questa legislatura ha il piombo nelle ali. Prima tira le cuoia e meglio sarà. Vorrà dire che Prodi o chi lo dovesse sostituire ha gettato una buona volta la spugna.
Però mai dire mai, avrà almanaccato tra sé e sé il sullodato Violante. Così, astuto com’è, è ricorso allo stesso trucco grazie al quale fece sì che nel settembre 1997 l’assemblea di Montecitorio varasse un’incisiva modifica al suo regolamento. Anziché nominare un relatore nella maggioranza, che cosa ti ha combinato questo volpone? Salomonicamente, ne ha nominati due: uno di maggioranza, l’ulivista Sesa Amici, e uno di opposizione, il finiano Italo Bocchino. L’una laureata in lettere e filosofia e tosta funzionaria di partito, l’ex Pci. L’altro fresco dottore in giurisprudenza che, con quella faccia da impunito, sa il fatto suo.
I resoconti di commissione Affari costituzionali dicono e non dicono. Ma a latere, anziché la guerra, tra i due deve essere scoppiata la pace. O, quanto meno, un armistizio. Fatto sta che nell’ultima decade di giugno sono avvenuti in commissione non uno ma ben due miracoli. Dal cilindro i due relatori hanno estratto un testo unificato. Ha comportato sì le fatiche di Sisifo, in quanto ha subito in corso d’opera svariati aggiornamenti. Ma bene o male alla fine si è trovata la quadra. E, circostanza ancor più notevole, la commissione lo ha adottato come testo base.
Ma ecco i punti salienti: riduzione del numero di deputati e senatori; un Senato federale della Repubblica; la funzione legislativa statale esercitata collettivamente dalle due Camere solo nei casi più importanti; il potere di nomina del presidente del Consiglio, che a sua volta può proporre la nomina e la revoca dei ministri, da parte del capo dello Stato, vincolato tuttavia dai risultati per l’elezione della Camera dei deputati; la fiducia della Camera al solo presidente del Consiglio; e così via. Il bello è che i due relatori, beati loro, non si sono dovuti spremere le meningi. Hanno ricalcato la riforma costituzionale voluta nella passata legislatura dal centrodestra e fieramente avversata dal centrosinistra.
Adesso, però, tutto va bene madama la marchesa. Neppure fossero ispirati dallo Spirito santo, gli avversari di ieri ora trovano ben poco da ridire. Annuiscono i rifondaroli Graziella Mascia e Franco Russo, il verde Marco Boato, Karl Zeller, gli ulivisti Gianclaudio Bressa e Roberto Zaccaria. Tutti fulminati sulla via di Damasco. E a ragion veduta, a loro modo di vedere. È dubbio che davvero credano in quel che dicono. Hanno sempre sostenuto che la Costituzione meno si tocca e meglio è. Per forza, si considerano gli eredi del meglio del peggio dell’antifascismo: il cattocomunismo. Ma temono che la legislatura abbia i mesi contati e non trovano di meglio che aggrapparsi a qualsivoglia espediente pur di durare.

A questo punto è il centrodestra, Forza Italia in testa, a nutrire perplessità. Perché non si può dar credito a facce di bronzo che strumentalmente cambiano opinione a seconda che siano in maggioranza o stiano all’opposizione.
paoloarmaroli@tin.it

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