Missionario italiano ucciso in Brasile

Ruggero Ruvoletto, padovano, assassinato con due colpi di pistola al volto e alla testa durante uan rapina. Era in Brasile da 25 anni. Arrestati tre giovani

Missionario italiano ucciso in Brasile

Un omicidio a scopo di rapina, probabilmente perché nella sua parrocchia erano custoditi i soldi di otto comunità. È morto così, in casa sua, Ruggero Ruvoletto, 52 anni, un missionario italiano che prestava la sua opera in una parrocchia alla periferia di Manaus, nel nord-ovest del Brasile. Secondo quanto raccontano i quotidiani brasiliani - «O Globo» e «Folha de S. Paulo» in testa - citando fonti della polizia brasiliana, il parroco della chiesa di Santa Evelina stava dormendo quando i suoi assassini si sono introdotti nella sua abitazione nella capitale dello stato amazzonico, alle sei e mezza circa della mattina di ieri (le 11.30 in Italia). Il sacerdote è stato fatto inginocchiare e i suoi assassini gli hanno sparato due colpi, uno al volto e l’altro in testa. Le indagini della polizia sono già partite e sembra abbiano portato ai primi risultati, perché sono state fermate tre persone sospette, tutte con precedenti penali, anche se come ha spiegato parlando con la stampa locale il segretario alla sicurezza pubblica dell'Amazzonia, Francisco Sa', «è ancora presto per definire con certezza il movente dell'omicidio».

Era un buon sacerdote, don Ruggero, e centinaia di abitanti del sobborgo in cui predicava e diceva messa si sono stretti attorno alla canonica, per vederne il corpo, come non volessero credere all'omicidio di quel prete, che ormai era da loro da due anni. Centinaia di persone intenzionate a rendere l'ultimo saluto, al punto che la polizia è dovuta intervenire per contenere la folla che si era riunita sul luogo dell'omicidio. «Era molto ben voluto dalla comunità, in città c'è una grande commozione», ha commentato padre Danival de Olivera, dell'arcidiocesi di Manaus.

Molto ben voluto anche perché, quaranta chilometri all'interno della foresta amazzonica, si dedicava ad un'attività «rivolta all'accoglienza dei giovani, sviluppando le loro facoltà artistiche», che favoriva anche «la possibilità di una convivenza tra diversi, che non dovrebbe essere mai una minaccia, ma che dal punto di vista sociale e religioso è una vera ricchezza». Il tutto «nel rispetto per la storia indigena amazzonica, che ha molte cose da insegnarci». Lì si dedicava «all'appoggio delle comunità periferiche, anche se per ora non abbiamo molte strutture su cui investire denaro», perché la missione è ancora focalizzata «sull'accoglienza». A raccontarlo era stato lui stesso, un anno fa, in un'intervista in cui sembrava felice di questa nuova avventura dall'altra parte del mondo. Un'intervista radio, rilasciata all'emittente della sua diocesi italiana, quella di Padova. Dove ora prevalgono «il dolore e lo sconcerto» per quel sacerdote che in passato aveva anche diretto il Centro missionario della città veneta.

Proprio da lì era stato mandato in Brasile, «Fidei Donum», cioè inviato in missione dalla

sua chiesa locale, dove stava ormai dal 1982. E per questo, il prete proveniente dalla provincia di Venezia (era nato a Galta di Vigonovo il 23 maggio del 1957) aveva preso tutta la sua vita e si era trasferito a Manaus.

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