Il mistero dello scienziato e dei suoi segreti nucleari da cinque milioni di dollari

Strana storia quella di Shahram Amiri, il ricercatore nucleare iraniano scomparso nel nulla lo scorso anno durante un pellegrinaggio alla Mecca. Adesso che è tornato a Teheran, grida al rapimento da parte della Cia, ma per mesi ha vissuto da disertore negli Stati Uniti. Non solo: gli americani hanno fatto sapere al Washington Post di averlo pagato 5 milioni di dollari per le sue informazioni.
L’enigmatico Amiri si è presentato martedì all’ambasciata pachistana di Washington, che cura pure gli interessi iraniani. E ieri il ricercatore di 32 anni è atterrato a Teheran accolto dai parenti e dalle autorità. Davanti alle telecamere ha raccontato di essere stato rapito, torturato e interrogato dalla Cia in collaborazione con gli israeliani.
«Mi avrebbero dato 50 milioni di dollari e una nuova vita in un paese europeo con la mia famiglia se avessi deciso di non tornare in Iran», ha affermato Amiri. Bastava che rivelasse qualcosa sul programma nucleare iraniano.
Ad attenderlo all’aeroporto il figlio di 7 anni e la moglie. Il sospetto è che il regime abbia fatto leva sulla famiglia per farlo tornare imbastendo la storia del sequestro.
Tutto ha avuto inizio nel maggio dello scorso anno in Arabia Saudita durante un pellegrinaggio alla Mecca. Il ricercatore giura di essere stato caricato «su un furgone, dove mi hanno fatto un’iniezione. Mi sono risvegliato su un aereo militare diretto negli Stati Uniti».
Invece l’intelligence americana sostiene che Amiri abbia disertato spontaneamente. Negli Stati Uniti è stato sottoposto a una specie di programma di protezione per i testimoni gestito dai servizi segreti. In cambio delle informazioni, il disertore ottiene una casa, una nuova identità, soldi. Ad Amiri hanno dato 5 milioni di dollari, ma il denaro è vincolato a investimenti bloccati se il disertore cambia idea. «Tutto ciò che ha avuto non è più alla sua portata, grazie alle sanzioni finanziarie contro l’Iran», ha rivelato una fonte della Cia al Washington Post.
Amiri lavorava presso l’università industriale di Malek e Ashtar legata ai Guardiani della rivoluzione iraniana, che fa parte della complessa rete del programma nucleare. Secondo l’opposizione iraniana il ricercatore poteva fornire informazioni su altri esperti, come il suo supervisore Parviz Katani e lo scienziato nucleare numero uno, Mohsen Fakhrizadeh. Pochi mesi dopo la sparizione di Amiri gli ayatollah sono stati costretti ad ammettere l’esistenza del secondo sito segreto di arricchimento dell’uranio nei pressi di Qom.
Oggi il ricercatore sostiene di non sapere nulla del programma nucleare e di essere sempre stato sotto stretta sorveglianza negli Usa. In realtà ha vissuto tranquillamente a Tucson per diversi mesi. Poi lo avrebbero trasferito in Virginia. Qualcosa, però, deve essere andato storto. A cominciare dal fatto che la sua famiglia è rimasta a Teheran sotto il controllo dell’intelligence iraniana. In aprile Amiri ha registrato un video in cui racconta, per la prima volta, la storia del rapimento. La «confessione» è finita su You tube, ma poche ore dopo appare un nuovo video con il ricercatore, che fa marcia indietro sostenendo di vivere libero ed in salute negli Stati Uniti.
Martedì il colpo di scena: il supposto disertore si rifugia nell’ambasciata pachistana a Washington.

Il segretario di stato Hillary Clinton sostiene che l’iraniano si trovava negli Stati Uniti «di sua volontà». Ora, la stampa iraniana lo sta trasformando in un eroe, ma forse è solo la copertura per un tradimento finito male.

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