Il mito del made in Italy va in mostra a Londra

Il titolo è molto tecnico «The Glamour of Italian Fashion 1945-2014», ma la mostra che verrà inaugurata al Victoria & Albert Museum di Londra il prossimo 5 aprile sarà di sicuro emozionante. Prima di tutto la curatrice, Sonnet Stanfill, è notoriamente bravissima: nel suo lavoro riesce sempre a mettere il rigore scientifico e la passione, un po' d'incanto e tanto sano pragmatismo che le viene forse dalle sue giovanili esperienze come buyer per un departement store americano. Dal 1999 è curatrice della sezione moda contemporanea nel magnifico museo londinese che vanta una straordinaria esposizione permanente di oltre 100mila tra costumi, abiti e accessori. Stanfill è partita da Roma dove nel secondo dopoguerra prosperavano gli atelier di Schubert, Gattinoni, Simonetta e Fabiani oltre, naturalmente, le Sorelle Fontana. Sempre dalla capitale arriva Bulgari, main sponsor della mostra, ma anche e soprattutto prezioso protagonista dello stile in auge nella cosiddetta Hollywood sul Tevere, ovvero Cinecittà, con il formidabile passaggio di dive e divine tra cui Anna Magnani, Liz Taylor, Anita Eckberg. Si passa poi a Firenze dove negli anni Cinquanta Giovan Battista Giorgini organizza la celebre sfilata nella Sala Bianca di Palazzo Pitti. Infine è la volta di Milano con la nascita del made in Italy. Nel capoluogo lombardo si comincia da Walter Albini, l'uomo che ha inventato il nostro prét-à-porter, per poi arrivare ai nomi noti al grande pubblico: Armani, Versace, Prada, Missoni, Gucci e Dolce&Gabbana. Un fenomeno a parte è Valentino che inizia nell'atelier di Piazza Mignanelli a Roma, sfila a Parigi e dal 2010 viene disegnato dal talentuoso duo composto da Pierpaolo Piccioli e Maria Grazia Chiuri. Loro due con Giambattista Valli e Fausto Puglisi sono gli unici tre nomi nuovi presi in considerazione dalla Stanfill che ha reperito il materiale da esporre (più di 100 tra vestiti e accessori oltre a innumerevoli reperti fotografici) negli archivi delle varie maison, presso la fondazione Micol Fontana e quella di Emilio Pucci, nei musei privati (Ferragamo e Gucci) ma anche dalla mitica sezione costume del Metropolitan di New York e dalla Galleria del costume di Firenze. Dunque un gran lavoro che avrebbe dovuto fare qualche museo italiano decidendosi una buona volta a celebrare la moda per quello che è: il petrolio del nostro Paese. Invece niente, da noi le occasioni vengono puntualmente sprecate.

Infatti per celebrare un lombardo Doc come Ferrè è dovuto intervenire il museo del tessuto di Prato e ora speriamo che il comune di Milano si dia una mossa perché Rita Airaghi, curatrice della Fondazione, vorrebbe fare una mostra sui gioielli del grande architetto. Tristissima anche la storia della mostra piccina-picciò fatta lo scorso anno per Anna Piaggi celebrata proprio qui con la grandiosa esposizione intitolata Fashionology.

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