«Con la mobilità agli operai Fiat si sfascia la riforma previdenziale»

Sacconi (Fi): «Grazie a questa Finanziaria lo Stato si farà carico di mantenere per tre anni i dipendenti torinesi. Così tutti vorranno andare in pensione a 57 anni»

Antonio Signorini

da Roma

Maurizio Sacconi, ex sottosegretario al Lavoro e senatore di Forza Italia, quella approvata venerdì la considera una Finanziaria lacrime e sangue?
«Certamente non per i tagli che non ci sono. Ogni contenimento della spesa corrente della Finanziaria è fasullo. Nelle grandi aree di spesa della previdenza, degli enti locali, della sanità e del pubblico impiego i veri e propri contenimenti di spesa sono marginali, congiunturali e soprattutto non verosimili».
Nemmeno la chiusura di una finestra per le pensioni?
«Una misura che la stessa Commissione europea considera congiunturale. Mentre rischia di diventare strutturale il vulnus previdenziale contenuto nella norma che prevede la mobilità lunga per i lavoratori della Fiat».
Che il vostro governo non varò...
«Perché scassa la riforma previdenziale. I lavoratori Fiat messi in mobilità saranno prepensionati secondo l’età precedente alla nostra riforma, 57 anni. Quindi lo Stato paga i primi tre anni di mobilità e poi si accolla la pensione anticipata. Senza contare che si innescherà una più generalizzata e comprensibile richiesta di tornare tutti ai 57 anni. Finisce in questo modo il tentativo che le statistiche dicono stava riuscendo, di mantenere al lavoro i cinquantenni».
E gli altri tagli annunciati?
«I tagli sono sovrastimati, le maggiori spese correnti sottostimate. Noi faremo presente a Bruxelles l’aleatorietà di questi numeri».
Quindi niente lacrime e sangue sulla spesa. E niente macelleria. Cosa è stato tagliato allora?
«Come avevamo previsto la spesa in investimenti infrastrutturali. I limiti di impegno sono circa la metà di quelli precedenti. La legge Obiettivo finisce con l’avere una dotazione inferiore al generico programma per i giovani».
E poi le tasse...
«Ne abbiamo contate 56. Io sono sicuro che nel 2007 batteremo il record storico della pressione fiscale che fu segnato dallo stesso Ulivo nel 1997, quando arrivò al 42,3 per cento. È un’ulteriore conferma che il saldo della manovra sull’Irpef è fortemente attivo per l’amministrazione e negativo per imprese e famiglie. Senza contare il Grande fratello fiscale che nella manovra trova ulteriori elementi. Il risultato è che si immettono meno soldi nell’economia, come nel caso delle infrastrutture e si ha un effetto depressivo».
Le nuove imposte sui redditi la convincono?
«È una falsa operazione di redistribuzione. Innanzitutto ci sono due soglie importanti di redditi. Quella dei70 mila euro, ma anche quella dei 55mila, sopra i quali si eliminano le deduzioni e non si danno le detrazioni. Poi perché non è un’operazione neutra: lo Stato si porterà a casa tre miliardi di euro dall’inasprimento delle imposte».
Che reazione di aspetta dalle imprese?
«Sono curioso di vedere cosa diranno Confindustria e Confartigianato, che sono due organizzazioni che mi sono apparse fiduciose nei confronti di questo governo. E che oggi non possono non constatare un risultato disastroso per i loro associati, se si eccettuano i favori fatti alla Fiat con la mobilità lunga e la tassa di circolazione. Nel caso degli artigiani c’è la stretta sugli studi di settore che consiste in un vero e proprio innalzamento della pressione fiscale. Poi c’è l’innalzamento dei contributi, che colpirà i lavoratori autonomi e gli atipici, senza che ci sia un aumento corrispondente delle pensioni e favorendo il lavoro nero. In tutto il Dopoguerra il lavoro autonomo non è stato mai così violentemente penalizzato. Senza dimenticare la rapina di liquidità alle imprese senza compensazioni attraverso le nuove norme sul Tfr. O gli «indici di congruità» con i quali il governo decide al posto degli imprenditori cosa è una corretta organizzazione d’impresa. Insomma è una Finanziaria di classe nel senso che punisce l’Italia socialmente ed economicamente più vitale».
Che opposizione farete a questa Finanziaria?
«Un’opposizione senza quartiere, nella consapevolezza che è in gioco il nostro futuro.

Il che significa andare oltre la pur concreta iniziativa parlamentare per rivolgerci direttamente all’Italia che produce e che lavora che ha ormai consapevole che il governo privilegia il sindacato ideologizzato, il pubblico impiego e la grande impresa indebitata. Il probabile ricorso al voto di fiducia del governo non potrà non indurci alla mobilitazione della piazza».

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