Il recente referendum svizzero sui minareti sta attirando la critica astiosa di tutte le beghine del «politicamente corretto». Pur mascherato dietro dell'esito, appare però evidente che il fastidio sia generato dall'idea stessa di referendum, dall'avere cioè affidato alla libera volontà dei cittadini una decisione così importante che in Italia si ritiene prerogativa quasi sacra dell'autorità dello Stato. Così si è scatenata una nuova bordata di critiche alla Svizzera che si inserisce nello strascico dei recenti screzi economici e diplomatici legati al problema dei soldi depositati nelle banche della Confederazione.
In realtà entrambi i casi sono solo gli ultimi episodi di una «guerra» che dura da quando è nato lo Stato unitario italiano. L'atteggiamento è coerente con l'antico rancore che tutti gli Stati nazionali nutrono nei confronti della Svizzera, che considerano una fastidiosa anomalia, un cattivo esempio, non tanto in termini economici (in fondo è un microbo rispetto al resto del mondo) ma per quello che rappresenta per rispetto delle diversità, delle libertà individuali ed economiche, delle autonomie in un mondo che tende a essere tutto uguale, globalizzato e standardizzato.
Ma l'Italia ha molte più ragioni di altri per temere la Svizzera: essa è tutto quello che l'Italia non è, ma che tanti italiani vorrebbero che fosse. È un pericoloso esempio virtuoso. La Svizzera è il trionfo delle garanzie di libertà, del libero mercato, ma soprattutto della gelosa difesa di tutte le specificità, delle culture locali, del federalismo vero. È il posto dove i cittadini decidono a tutti i livelli come usare i propri soldi, come e se investirli. Qualche tempo fa gli abitanti di Losanna - per fare un esempio recente e conosciuto - hanno votato se dotarsi di una metropolitana e di quanto tassarsi per farla. L'hanno costruita, se la sono pagata e hanno controllato le spese. Una cosa del genere fa orrore allo Stato italiano che arraffa i soldi e ci fa quello che vuole e dove vuole senza renderne conto a quelli cui li ha estorti, che vive sulla maliziosa perequazione delle risorse e sul suo altrettanto malizioso «indotto». Oggi la democrazia diretta si è espressa su un tema che non riguarda tanto le tasche quanto la testa e il cuore delle comunità: una colpa ancora più grande agli occhi del centralismo giacobino, socialista e statolatrico.
La Svizzera è il contrario dell'Italia e questa - giustamente dal suo punto di vista - teme che quello che considera un focolaio di infezione possa diffondersi. Non è un caso che gran parte dei movimenti autonomisti e federalisti nascano e prosperino in aree vicine ai confini svizzeri.
La composizione stessa della Confederazione, fatta di quattro ceppi linguistici, di due religioni maggiori e di interessi variegati, è la negazione del principio dell'Italia «una di lingua, di sangue, di altare» e di tutto il resto delle menate patriottiche.
Per tutto il Risorgimento c'è chi ha pensato di «redimere» il Ticino. Nel 1898 si è inventata la storia delle «bande svizzere» in procinto di invadere la Lombardia: poche decine di emigrati che volevano dare man forte agli insorti milanesi e che sono stati fermati dalle autorità svizzere. Durante la Grande guerra si sono erette fortificazioni per difendersi da presunti attacchi svizzeri, in realtà prima per aiutare i tedeschi sul Reno e poi (dopo il solito cambio di fronte) per aggredirli alle spalle. Il fascismo si è inventato un ridicolo movimento irredentista, l'Adula. La Svizzera è sempre stata insultata dai nazionalisti (il «foruncolo» di Mussolini) e dileggiata come il paese del cioccolato e degli orologi a cucù. Salvo poi presentarsi a piagnucolare alla frontiera a chiedere asilo, sempre pazientemente concesso. Adesso li si accusa di ogni nequizia finanziaria e, ovviamente, di xenofobia. Se c'è un problema di espatrio di capitali non è colpa degli svizzeri ma dello Stato italiano, della sua oppressione fiscale e della sua incapacità a controllare le attività illecite.
Lo Stato italiano odia la Svizzera perché è l'esempio di come dovrebbe essere uno Stato serio. La odia perché è la cattiva coscienza dell'Italia.
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