La modernità di D'Annunzio e l'automobile che è femmina

La modernità di D'Annunzio e l'automobile che è femmina
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Mas, memento audere semper. E quindi «La visione dannunziana dei mezzi di trasporto», come recitava il sorprendete titolo del convegno organizzato ieri al Pirellone dal consigliere di Fratelli d'Italia Maira Cacucci e dall'assessore ai Trasporti Franco Lucente, svela tutto il suo significato. Perfino poetico, come ha dimostrato la dotta relazione dell'ex assessore Massimo Corsaro, recentemente nominato nel Collegio dei revisori dei conti della Fondazione il Vittoriale degli italiani.

Un racconto che parte da un mondo che si muoveva a cavallo, per leggere la visione di una mente che, nella sua straordianarietà polimorfa, ha incarnato l'ansia di modernità che elettrizzava, anche non metaforicamente, i primi decenni del secolo. Dando vita alla riflessione non solo estetica del Futurismo di Marinetti. «D'Annunzio - ha detto Corsaro - è stato vessillifero della modernità e per questo chiedeva la frubilità per tutti dei mezzi di trasporto».

E così auto, treno, aeroplani e navi entrarono nello sforzo di plasmare la sua vita, rendendola straordinaria. Temi tutt'altro che polverosi, come ha sottolineato il deputato Marco Osnato, perché «per far crescere il Paese dobbiamo investire in infrastrutture e trasporti, magari non costringendo tutti ai 30 all'ora o togliendo i posteggi come Sala vorrebbe fare a Milano».

Conclusioni affidate a un senatore «a vita» della destra come Alfredo Mantica che ricorda quanto spirito dannunziano ci sia stato nella strada percorsa dalla destra per arrivare al governo. Con Giorgia Meloni, una donna come l'automobile battezzata femmina da D'Annunzio solo nel 1926, scrivendo al senatore Giovanni Agnelli: perché «delle donne ha la disinvolta levità nel superare ogni scabrezza».

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