Baghdad vuole i soldati della Turchia fuori dall'Iraq: è scontro

Ancora tensione sui militari turchi presenti a Bashiqa: convocati ambasciatori

Blindati dell'esercito iracheno nella zona di Ramadi
Blindati dell'esercito iracheno nella zona di Ramadi

"Dopo che Mosul sarà stata liberata dal Daesh, solo arabi sunniti, turcomanni e curdi sunniti vi rimarranno". È bastata questa frase, pronunciata lunedì dal presidente turco Recep Tayip Erdogan, a dare il via a una piccola crisi diplomatica con l'Iraq.

Non è una novità che la Turchia vorrebbe avere un ruolo nella battaglia per Mosul, spesso descritta come la capitale in Iraq del sedicente Stato islamico. Come vorrebbe anche partecipare attivamente allo scontro per Raqqa, il centro nevralgico dei territori controllati dall'Isis in Siria.

Di diversa opinione sono tuttavia le autorità di Baghdad, che hanno reagito con decisione alle parole pronunciate dal presidente turco. Il parlamento ha chiesto al governo una nota ufficiale, da inviare all'ambasciata turca, definendo i soldati, ufficialmente addestratori che aiutano i combattenti sunniti in Iraq, come "forze ostili occupanti". E invitato le autorità a riconsiderare anche i legami economici e commerciali tra i due Paesi.

Nel contempo il parlamento turco ha votato per rinnovare la missione dei militari, che stazionano alla base di Bashiqa, non lontano da Mosul, e quella delle forze impegnate in Siria con l'operazione Scudo dell'Eufrate, contro Isis e le milizie curde del Pyd.

"Temo che l'avventura turca possa trasformarsi in una guerra regionale", ha commentato il premier iracheno Haider al-Abadi, in quello che non è nemmeno il primo scontro aperto tra i due Paesi sulla questione.

Carri armati turchi

Già a dicembre 2015 le forze - 150 soldati e una ventina di carri armati - dispiegate a Bashiqa , senza un accordo esplicito, avevano fatto alzare la tensione tra Baghdad e Ankara. La Russia, allora ai ferri corti con Erdogan, aveva chiesto che della questione si parlasse alle Nazioni Unite.

L'allora premier Ahmet Davutoglu, sostituito quest'anno da Binali Yildirim, aveva sostenuto che l'accordo che permetteva di dispiegare i militari era stato raggiunto nel 2014 a Baghdad. Una tesi che aveva ricevuto il solo appoggio del Kurdistan iracheno, da tempo in buoni rapporti con la Turchia.

Oggi l'ambasciatore iracheno ad Ankara, Hisham Ali Akbar Ibrahim Al-Alawi, è stato convocato dal ministero degli Esteri, che in una nota ha "condannato l'inaccettabile decisione del parlamento iracheno e le sporche accuse contro il presidente Erdogan". Lo stesso hanno fatto le autorità irachene con il rappresentante diplomatico turco.

Alle dichiarazioni e alle mosse diplomatiche di entrambe le parti si sono aggiunte le dichiarazioni di Yousif al-Kilabi, portavoce

delle milizie sciite Hashd al-Shaabi, alleate di Baghdad nella lotta contro i jihadisti. "Se insistono a rimanere in Iraq - ha detto - li tratteremo come nemici. Li combatteremo nello stesso modo in cui combattiamo l'Isis".

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