Così la Spagna ha azzerato il traffico di migranti dal Senegal

Dal 2009 la Spagna ha siglato un patto con il Senegal per fermare la partenza dei barconi alla volta delle Canarie. Nel 2006 ne arrivarono 39mila. Dal 2009, gli sbarchi sono completamente azzerati.

Così la Spagna ha azzerato il traffico di migranti dal Senegal

Con l’avvento dell’ondata migratoria che sta sconvolgendo le politiche d’integrazione e di gestione dei flussi di tutta l’Unione Europea, il tema degli accordi bilaterali fra Stati da cui partono i migranti e Stati in cui approdano, risulta essenziale. L’Italia lo aveva fatto con la Libia di Gheddafi, poi la guerra ha cancellato ogni accordo e la tratta di esseri umani ha ripreso in pieno la propria attività con una forza mai vista. La Germania e l’Unione Europea lo hanno fatto in Turchia, ed hanno effettivamente chiuso del tutto la rotta balcanica, pagando un conto salato al presidente Erdogan. E tutti gli Stati europei, adesso, si accorgono che l’unica soluzione sia quella di intavolare trattative con i Paesi di partenza, quantomeno quelli con cui è possibile interfacciarsi e che hanno un governo stabile, al fine di bloccare il flusso migratorio che ormai sembra inarrestabile. Soprattutto quello del Sahel, che partendo dall’Africa Occidentale e Orientale, supera la fascia del Sahara e arriva sulle coste del Mediterraneo per giungere in Europa.

Uno degli esempi più virtuosi di questo tipo di accordi, è certamente quello che la Spagna ha già da anni concluso con il Senegal. Un Paese tendenzialmente stabile dell’Africa Occidentale, ma che vede un enorme flusso di cittadini riempire la terribile tratta che passa per il Niger. Il ministro dell'Interno, Juan Ignacio Zoido, questo giovedì, ha rinnovato con il suo omologo senegalese gli accordi di cooperazione di polizia per affrontare il traffico di esseri umani. Gli accordi che da otto anni hanno preso Spagna e Senegal possono essere considerati un vero esempio di cosa significhi cooperare tra Paesi di origine di arrivo. Perché la situazione che viveva la Spagna, quando iniziò a riflettere su un accordo-quadro con il governo di Dakar, non era molto diversa a quella che l’Europa sta vivendo oggi.

Nel 2006, durante il picco della crisi dei “cayucos”, i migranti che dal Senegal hanno raggiunto la cosa spagnola, in larga parte le Canarie, sono stati circa 39mila. Di questi 39mila, soltanto sedicimila erano senegalesi. Gli altri erano tutti provenienti dai Paesi limitrofi, e che consideravano la costa senegalese quale punto di partenza per arrivare con barche di fortuna nelle Canarie e poi da lì arrivare nel continente europeo. Dal 2009, cioè dall’anno in cui il governo di Madrid decise di concludere l’accordo con Dakar, non è più partito un solo barcone verso le Canarie. Un flusso completamente azzerato. E durante la visita di Stato in Senegal, il ministro dell’Interno di Madrid ha voluto rimarcare proprio la qualità dell’accordo come esempio virtuoso da intraprendere in tutta l’Europa e anche da parte della stessa Unione Europea. La Spagna ha speso ogni anno circa tre milioni di euro per aiutare la polizia senegalese a contrastare e frenare il traffico di migranti in partenza dalle coste del Paese. Ogni anno, il governo spagnolo investe sessantamila euro nella formazione della polizia locale senegalese, e ormai tutti i più alti comandanti delle forze dell’ordine del Paese collaborano e sono state formate dalle forze di sicurezza spagnole. A questi accordi di polizia, che servono anche per la lotta al narcotraffico e al terrorismo, si aggiungono accordi di cooperazione economica per dare lavoro ai giovani del Senegal. Generare posti di lavoro nel Paese è sicuramente l’arma più forte per contrastare il fenomeno della tratta di esseri umani.

Per l’Italia, l’accordo tra Spagna e Senegal non è solo un esempio, ma anche un ammonimento. I due Paesi hanno, infatti, concluso un accordo bilaterale, che implica che Dakar si impegna nel fermare ogni tentativo di arrivo in Spagna tramite le Canarie e tramite altre rotte. E questo è un dato positivo, anche soltanto pensando al numero di morti dovuti all’affondamento di queste barche di fortuna. Il problema però è che la rotta che dal Senegal giunge a Bamako, e poi risale il Niger fino alla Libia è tutt’altro che chiusa, anzi, proprio questo tipo di accordi può anche alimentarla.

Chi decide comunque di intraprendere la via dell’Europa, adesso lo fa puntando alla Libia, e dunque a Lampedusa e all’Italia. A dimostrazione di quanto sia importante che l’Italia agisca nei Paesi d’origine, dove gli Stati ancora esistono, prima che l’emergenza diventi ancora più insostenibile.

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