La pietra in testa: chi era l'italiano ammazzato da 600 persone

66 anni, tecnico telefonico ed ex calciatore dilettante: in Sardegna, sua terra d'origine, parlano bene di Giorgio Scanu, l'uomo linciato in Honduras

La pietra in testa: chi era l'italiano ammazzato da 600 persone

Giorgio Scanu, l'italiano ucciso in Honduras, aveva 65 anni. Era nato a Donigala, paese dell'entroterra sardo, ma per quasi tutta la vita ha vissuto a Santa Giusta, comune costiero di poche anime a ridosso di Oristano. Era molto conosciuto in paese, dove si dice che abbia lasciato l'isola circa 20 anni fa, forse 30. Qui si era sposato ma il matrimonio era finito rapidamente, non prima di diventare padre. Prima di volare in centro America lavorava come tecnico telefonico ma anche lui, come tanti altri, è stato messo in cassa integrazione e a quel punto, nello cercare un nuovo lavoro, alcune sue conoscenze lo indirizzarono a Deutsche Telekom, che gli propose di trasferirsi in centro America, dove poi ha trovato la morte.

L'uomo è stato ucciso a colpi di bastone e di machete. Gli hanno scagliato contro le pietre. Erano in 600, hanno fatto irruzione all'interno della sua abitazione e poi hanno appiccato il fuoco. La polizia c'era, è arrivata, ma non è potuta intervenire per fermare quell'onda barbara che si è accanita contro l'italiano perché, a loro dire, avrebbe ucciso un vicino di casa. "Giorgio ha ucciso il suo vicino di casa? Lo escludo assolutamente, la violenza non era nel suo modo di essere. Che cerchino la verità. È stato ammazzato con ferocia barbara. Una folla contro un uomo solo e indifeso…", dice oggi uno dei suoi migliori amici in Sardegna, Efiso Cau.

Si conoscevano da sempre e si erano visti per l'ultima volta tre anni fa, quando Giorgio Scanu fece ritorno sull'isola per una vacanza. Però mantenevano i contatti tramite telefono. Ed è proprio durante una telefonata che l'imprenditore ha raccontato all'amico un progetto che lo elettrizzava: "L’ultima volta mi ha detto che voleva aprire un ristorante a Tegucigalpa. 'Ti aspetto, penso a tutto io: quando vuoi venire, ti mando il biglietto dell’aereo'. Era in pensione, mi voleva come suo socio, aveva molti progetti".

Giorgio Scanu viene descritto come un uomo buono da chi l'ha conosciuto. È stato anche un calciatore a un buon livello. Quando praticava l'agonismo ha militato in prima e seconda categoria nei campionati dilettanti sardi. Poi smise l'agonismo e si dedicò alle partitelle tra amatori. Ma nessuno crede che possa aver ucciso un uomo. "È vero, lo chiamavano Terrore, perché in campo era deciso, gli attaccanti avversari giravano al largo. Giocava duro ma corretto. Ed era rispettato. La passione per il calcio l’ha sempre avuta. Ha dovuto smettere di giocare un po’ per l’età e per qualche guaio muscolare. Ha voluto tentare anche come allenatore. Era duro anche con i suoi giocatori, pretendeva disciplina. È partito dicendo: il calcio mi mancherà", dicono Sergio Vacca e Tino Melis, vicini alle formazioni in cui ha militato.

Quando è partito per il centro America ha accantonato la sua passione per il calcio. Il lavoro era molto duro, le trasferte estenuanti. Gli proposero di lavorare in Guatemala e in Brasile ma rifiutò, perché lui in Honduras aveva costruito la sua nuova famiglia con una moglie e due figli.

La nostalgia di casa non l'ha mai abbandonato ma poi tornava con i piedi per terra. Una delle ultime volte che ha fatto ritorno in Sardegna ha dichiarato agli amici più cari: "Sono ormai vicino alla pensione e vedo che qui non c’è lavoro. Che cosa ritorno a fare?".

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