La Grande Guerra? Il Papa sbaglia Fu un conflitto giusto e doveroso

Le nazioni di tutta l'Europa si sono compattate anche sui campi di battaglia. E i pontefici non furono sempre pacifisti

La Grande Guerra? Il Papa sbaglia Fu un conflitto giusto e doveroso

Caro direttore, ho letto l'articolo di Vittorio Feltri di ieri sull'inutilità della guerra. Non sono d'accordo: ecco come la vedo io.

Ha fatto bene Matteo Renzi a non andare ad accogliere ed ascoltare Papa Francesco a Redipuglia. Perché se lo avesse fatto si sarebbe reso conto che l'appello del Pontefice per la pace comporta un grave danno collaterale alla sua azione di Presidente del Consiglio di un Paese impegnato a fronteggiare una profonda crisi proprio mentre l'Europa, che impartisce regole, non riesce ad avere identità.

Il Sacrario di Redipuglia è uno dei monumenti rappresentativi di quella nazionalizzazione delle masse che dopo la prima guerra mondiale tutti i Paesi europei (non solo l'Italia fascista e la Germania nazista ma anche tutti gli altri Stati democratici a partire da Francia e Gran Bretagna per finire agli Stati Uniti) realizzarono allo scopo di rinsaldare la compattezza dei rispettivi popoli attraverso un consolidamento simbolico delle identità. Nel caso italiano il processo di nazionalizzazione delle masse era diretto a rinforzare il regime mussoliniano esaltando il sacrificio che l'intero popolo italiano, rappresentato dai centomila morti sepolti sulle colline del Carso, aveva compiuto per completare il processo di unità nazionale avviato dalle generazioni precedenti. Ma, sempre nel caso italiano, il processo di nazionalizzazione delle masse non era affatto una invenzione del fascismo. L'edificazione di Redipuglia segue quella dell'Altare della Patria il cui simbolismo del Milite Ignoto precede l'avvento del fascismo. E costituisce la diretta conseguenza di quel Risorgimento promosso non da feroci reazionari ma da quei liberali e da quei democratici che attraverso la formazione di uno Stato nazionale speravano che l'Italia ed il suo popolo si potessero liberare la secoli di servitù e di vassallaggio ad opera dei grandi Paesi vicini. Quegli stessi Paesi, dalla Francia all'Impero Austro-Ungarico, che non si limitavano ad usare il Bel Paese come terra di conquista ma condizionavano per antica abitudine la stessa elezione dei Pontefici Romani e la formazione della Curia.

L'omelia di Papa Francesco a Redipuglia non si colloca dunque soltanto come scontato seguito del pacifismo cattolico inaugurato nel 1917 con l'appello contro «l'inutile strage» da Benedetto XV, Papa fin troppo consapevole del ruolo protettore esercitato dagli Imperi Centrali nei confronti della Chiesa. È la logica e consapevole prosecuzione del processo di denazionalizzazione delle masse per nulla identificabile come una innovazione del Pontefice non europeo ma piuttosto come la perenne conseguenza storica di una fede religiosa a vocazione universale. Una fede che non riconosce confini e che non può accettare altre identità diverse da quella propria, portatrice di una verità non relativa ma sempre e comunque assoluta.

È assolutamente legittimo che Papa Francesco supporti con la sua sensibilità quel processo di denazionalizzazione delle masse che reca con sé l'automatica rivendicazione del primato della religione. Quel primato in nome del quale oggi si predica l'obbligo della pace come ieri si teorizzava la necessità delle guerre giuste.

Ma è altrettanto legittimo rilevare come la scelta di Redipuglia come luogo simbolico da cui lanciare il proprio messaggio, il Pontefice non si è posto sulla scia di Benedetto XV ma su quella antorisorgimentale di Pio IX ed ha inviato a quei centomila morti rappresentativi di un intero popolo il messaggio di aver sacrificato inutilmente la propria giovinezza. Francesco, in sostanza, nel luogo simbolico del completamento del Risorgimento ha predicato che è stato un tragico errore essersi sacrificati per l'unità e l'identità italiane.

Stupisce che nessuno abbia osato rilevare che per seguire fino in fondo l'indicazione del Papa bisognerebbe salire sull'Altare della Patria e smantellare la tomba del Milite Ignoto derubricandola a simbolo della guerra «inutile strage». Ma stupisce ancora di più che nessuno si renda conto che non si può chiedere ad un popolo di compattarsi e di compiere sacrifici contro la crisi se la sua identità viene cancellata ed i sacrifici del passato bollati come vani.

In queste condizioni quali possibilità di riuscita può avere il

tentativo di Matteo Renzi di convincere una Europa ancora priva di identità ed in cui contano solo le identità forti di alcuni Paesi (come ai tempi di Pio IX e Benedetto XV) a riconoscere la legittimità delle richieste italiane?

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