Il #MeToo cinque anni dopo: cos'è rimasto

Col #MeToo semplici accuse sono diventate condanne definitive. Il tutto accompagnato da un linciaggio mediatico, spesso contro persone innocenti. Cos'è rimasto cinque anni dopo

Il #MeToo cinque anni dopo: cos'è rimasto

Era il 5 ottobre 2017 quando il New York Times pubblicò l'inchiesta sul produttore cinematografico Harvey Weinstein che diede il via al #MeToo. Nell'articolo, i giornalisti Jodi Kantor e Megan Twohey spiegarono come il magnate, produttore di numerosi successi di Hollywood, avesse abusato sessualmente e molestato le donne per decenni. Sul New Yorker, Ronan Farrow contribuì poi a sollevare ulteriori dettagli sugli scandali sessuali legati al noto produttore. A quel punto la celebre attrice Alyssa Milano invitò le donne di tutto il mondo a condividere le loro esperienze di molestie sessuali con l'hashtag, #MeToo, che poi divenne il nome del movimento. Soltanto il primo giorno, l'hashtag fu utilizzato più di 200mila volte su Twitter, prima di diventare virale in più di 85 paesi di tutto il mondo. Non era un termine del tutto nuovo: fu coniato originariamente dall'attivista per i diritti umani Tarana Burke nel 2006 sul social network "Myspace". Ora, cinque anni dopo, occore chiedersi cos'è rimasto e se il movimento femminista abbia portato a dei reali benefici.

Cos'è rimasto

La vera domanda è: cos'è rimasto del #MeToo dopo cinque anni? All'inizio di giugno, la corte d'appello di New York ha confermato la condanna a 23 anni per Weinstein, accusato di violenza sessuale e abusi su alcune donne. Tra le donne che lo hanno denunciato, Angelina Jolie, Gwyneth Paltrow e Salma Hayek. Weinstein si è sempre difeso, sostenendo che i rapporti sessuali erano consenzienti. Anche altre celebrità, nel frattempo, sono state condannate per le medesime ragioni, come l'attore statunitense Bill Cosby o il fotografo francese Jean-Claude Arnault, condannato per aver violentato una donna. Nel frattempo, insieme a Ronan Farrow, Jodi Kantor e Megan Twohey hanno vinto il Premio Pulitzer degli Stati Uniti per i loro servizi su Weinstein, mentre il "#MeToo" è entrato nelle vite di tutti noi, non sempre con risvolti positivi. Anzi. C'è chi si è visto rovinare la propria vita, senza aver fatto nulla di male. E il tutto per un maledetto #hashtag, che non può diventare un'alternativa social alla giustizia, quella vera e dei tribunali, rispetto alla quale sono i singoli a rispondere. Non è la folla giacobina a decidere chi è un "porco" e chi no. Come ha preteso di fare il #MeToo.

Il lato oscuro del movimento

Il movimento, infatti, si è presto trasformato da un sacrosanto diritto a denunciare abusi (reali) subiti per anni ad opera di magnati del cinema a un'isteria colletiva e forcaiola che ha preso di mira gli uomini in quanto tali. Come se in ogni uomo si nascondesse, in realtà, un potenziale Weinstein: cosìcché i complimenti fatti una donna sono diventati una potenziale molestia e ogni tentativo di approccio - consenziente - un tentativo di abuso. Le semplici accuse sono diventate delle condanne definitive, accompagnate da un vero e proprio linciaggio mediatico. Perché accanto ai pochi Weinsten ci sono, soprattutto, i tanti Éric Brion, prima vittima del movimento #balancetonporc, il #Metoo in salsa francese. Noceventomila tweet, minacce di morte, il Weinstein francese, ricorda il Corriere della Sera. Solo che, come la sentenza del tribunale avrebbe dimostrato due anni dopo, non era il "porco" che si pensava fosse, scagionandolo dalle accuse formulate da Sandra Muller. Quanto basta per rovinargli la vita: nel momento più difficile della sua esistenza, la compagna lo ha lasciato, gli amici sono spariti, e ha perso i contratti che stava negoziando per l’agenzia di consulenza appena fondata. Momenti terribili, che nessuno potrà risarcire.

Già nel 2018, la celebre attrice francese Catherine Deneuve fu tra le personalità note più a firmare un appello, pubblicato su Le Monde, a difesa della "libertà di importunare", parlando di una "caccia alle streghe" avviata dopo l'emergere del caso Weinstein. Tutto il mondo dell'establishment culturale le se scagliò contro, costringendola a un parziale passo indietro, ma lei condannò "un'era dove le semplice accuse sono sufficienti a ottenere punizioni, dimissioni... e spesso un linciaggio mediatico".

Se poi questo puritanesimo abbia portato a dei reali vantaggi per la condizione delle donne, due studi americani, pubblicati nel 2019, hanno evidenziato come il movimento femminista non abbia portato reali benefici alle donne. Un flop a tutto tondo.

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