La Nuova Caledonia ripone temporaneamente nel cassetto i suoi sogni autonomisti, dopo che nel referendum sull'indipendenza tenutosi quest'oggi la maggioranza degli elettori ha scelto di rimanere fedele alla madre patria francese. Con la totalità delle schede scrutinate, il No all'indipendenza si impone infatti con il 56,4 per cento dei voti, contro il 43,6 per cento di favorevoli alla costituzione di un nuovo stato neocaledone ed un'affluenza insolitamente elevata dell'80,6 per cento, quasi trenta punti superiore a quella delle ultime elezioni presidenziali del 2017 quando aveva raggiunto poco più del 50 per cento. Risultati non sorprendenti ma distanti dalle aspettative diffuse dai sondaggi preelettorali, dove gli unionisti venivano dati quasi al 70 per cento. Dopo essere stato dapprima una colonia e successivamente un territorio d'oltremare, per i prossimi anni l'arcipelago melanesiano continuerà quindi a rimanere una cosiddetta "Collettività speciale" dello stato francese, il particolare status giuridico scaturito dall'Accordo di Noumea del 5 maggio 1998. Nell'accordo veniva stabilita infatti la graduale cessione delle competenze amministrative al governo della Nuova Caledonia, lasciando alla Francia solo quelle riguardanti la difesa, la politica estera, l'immigrazione, la sicurezza, la giustizia e la moneta, e prevedendo inoltre al termine di questo periodo di transizione la possibilità di indire uno o più referendum sull'autodeterminazione del territorio.
Una mossa che all'epoca mirava al conseguimento di una piena riappacificazione nazionale dopo decenni di scontri tra i militanti del movimento indipendentista indigeno Fronte di Liberazione Nazionale Kanak e Socialista ed i discendenti dei coloni europei, tradizionalmente schierati a favore dell'unione con la Francia, culminati il 5 maggio 1988 con l'uccisione da parte delle forze armate francesi di 19 separatisti, che si erano resi protagonisti del sequestro di una trentina di gendarmi e della morte di quattro di loro durante la cosiddetta Crisi degli ostaggi di Ouvea. La spaccatura tra lealisti ed autonomisti all'interno del territorio ha infatti sempre seguito le profonde divisioni etniche della popolazione, principalmente ripartita tra il 39 per cento degli autoctoni kanaki - gli originari abitanti delle isole, concentrati nella Provincia del Nord e nelle Isole della Lealtà - e il 27 per cento dei caldoche di stirpe europea stanziati invece nella Provincia del Sud, a cui si aggiungono le comunità immigrate provenienti dalle ex colonie francesi di Wallis e Futuna (8 per cento) e Tahiti (2 per cento). Peraltro, già nel 1987 venne indetto un analogo referendum sull'indipendenza, che vide la schiacciante vittoria degli unionisti con il 98, 3 per cento anche a causa della scelta dei movimenti separatisti di boicottare la consultazione elettorale.
Nel commentare i risultati del referendum, il Presidente francese Emmanuel Macron ha parlato di una vittoria del dialogo contro la paura, affermando: "In questo giorno, l'unico sconfitto è la tentazione di disprezzo, di divisione, di violenza e di paura, mentre l'unico vincitore è il processo di pace che ha guidato la Nuova Caledonia per trent'anni, lo spirito del dialogo che non finirà più, lo spirito di responsabilità che ha portato ad una partecipazione eccezionale delle caledoniane e dei caledoniani.", annunciando inoltre l'immediata partenza del Primo Ministro Edouard Philippe e del Ministro per i Territori d'oltremare Annick Girardin in Nuova Caledonia, allo scopo di incontrarsi con le forze politiche locali per poter programmare una serie di incontri da tenersi nelle prossime settimane. Di parere diverso sono invece le dichiarazioni di Alosio Sako, presidente del Raggruppamento Democratico Oceaniano, favorevole invece all'indipendenza: "Il popolo Kanak ha preso coscienza di come spettasse a loro mostrare la propria determinazione di essere finalmente liberi. Siamo a due passi dalla vittoria, abbiamo ancora altre due consultazioni nel prossimo futuro".
Ciò a cui si fa riferimento è infatti la possibilità, stabilita dallo stesso Accordo di Noumea, di poter indire due nuovi referendum ogni due anni a partire dall'ultimo svolto, rispettivamente dunque nel 2020 e nel 2022, nel caso in cui almeno due terzi dei componenti del locale parlamento della Nuova Caledonia si dovessero esprimere a favore. Un'eventualità che non spaventa Philippe Michel, segretario generale di Caledonia Insieme - principale partito pro-Francia - sicuro che il referendum di oggi abbia finalmente messo la parola fine alle rivendicazioni indipendentiste: "Continuo a pensare che sarebbe meglio poter fare a meno di un secondo o di un terzo referendum, non mi opporrò tuttavia all'Accordo di Noumea, che è costituzionalizzato".
Tra i pricipali timori francesi in caso di una futura indipendenza della Nuova Caledonia c'è infatti anche quello di dover perdere i consistenti giacimenti di nickel situati nel sottosuolo della nazione oceaniana, i quali rappresentano circa l'11 per cento delle riserve mondiali del prezioso minerale, utilizzato principalmente nella produzione di acciaio inossidabile.
Lo sfruttamento industriale del nickel è stato tra l'altro uno dei principali motori di rilancio dell'economia neocaledone nel corso degli ultimi decenni, costituendo il 97 per cento delle esportazioni del paese e garantendo all'arcipelago una qualità di vita nettamente superiore a quella degli altri stati del Pacifico. Uno sviluppo economico che non si è tuttavia riflesso equamente sulla popolazione, dati gli alti tassi di povertà ancora oggi presenti tra gli indigeni - circa sei volte superiori rispetto a quelli dei loro concittadini bianchi - i quali per questo chiedono a gran voce l'autodeterminazione delle isole.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.