Torture e crimini di guerra in Afghanistan? Ci sono “ragionevoli basi” per procedere contro soldati ed agenti americani. A stabilirlo è il Tribunale penale internazionale dell’Aia (Cpi) nel “Report on preliminary Examination Activities 2016” pubblicato lo scorso lunedì.
Il report che inchioda forze Usa e Cia
Fatou Bensouda, procuratore capo della Cpi ed autrice del report, a pagina 47 del documento scrive che le informazioni raccolte sinora offrono una “base ragionevole” per credere che, nel corso degli interrogatori e delle relative attività di supporto, i membri delle forze armate degli Stati Uniti e della Central Intelligence Agency (Cia) abbiano fatto ricorso a “tecniche paragonabili alla commissione di crimini di guerra come la tortura, trattamenti crudeli, oltraggio alla dignità personale, e stupro”. Il testo del rapporto, basato su più di un centinaio di segnalazioni, si riferisce a “torture e maltrattamenti” che si sono verificati nel paese dell’Hindukush a cavallo del 2003-2004 e non solo.
L’imbarazzo di Obama
Il report stilato dal procuratore internazionale evidenzia, infatti, che – “presumibilmente” – le violazioni dei diritti umani da parte dell’esercito americano e degli agenti dell’intelligence – “in alcuni casi” – sarebbero continuate sino al 2014. In quell’anno – come osserva Il Manifesto – le forze afghane ricevono in consegna da quelle statunitensi i prigionieri internati nel famigerato Bagram Collection Point dove, nel 2002, morirono Habibullah e Dilawar. La storia dei due “martiri di Bagram”, svelata dal The Washington Post, ha fatto il giro del mondo: entrambi crudelmente seviziati nel corso degli interrogatori, vennero appesi al soffitto con delle catene e lasciati agonizzare nelle loro celle fino alla morte.
Trattamenti disumani e crimini di guerra, cominciati negli anni della presidenza del repubblicano George W. Bush, sarebbero quindi proseguiti nel silenzio, lungo tutto il corso del primo mandato del Nobel per la pace Barack Obama e buona parte del secondo. In quel periodo l’ex candidata democratica Hillary Clinton, aperta sostenitrice degli interventi in Afghanistan ed Iraq, ha ricoperto il ruolo di segretario di Stato che le è valso l’appellativo di “guerrafondaia”.
Lo Statuto di Roma
Il “Report on preliminary Examination Activities 2016”, tecnicamente, è la fase che conduce, anticipandola, a quella processuale. Ma per portare alla sbarra ufficiali e agenti che si sono macchiati di crimini atroci come quelli descritti dal procuratore Bensouda, il percorso è tutto in salita. Non solo per via delle tempistiche intrinseche a questo genere di procedimenti, ma anche perché – come denuncia il Cremlino che, infatti, non ratificherà l’accordo internazionale – gli Usa non hanno mai firmato lo “Statuto di Roma” del 1998 che definisce principi, giurisdizione e funzioni della Cpi.
Questo, come hanno obiettato anche i russi, vanifica l’incisività del giudice internazionale e la sua credibilità consentendo agli Stati Uniti, che formalmente non riconoscono l’organizzazione, di respingere le accuse al mittente.
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