L'esercito russo comandato da Putin avanza, sulla carta è più forte di quello ucraino ma non ha ancora vinto nulla anzi, dopo 14 giorni, ha perso uomini, generali e la pazienza del proprio zar. La resistenza ucraina grazie anche agli aiuti occidentali è stata più forte e stoica del previsto ma qualche novità per la sorte degli scontri sembra essere alle porte. "La svolta decisiva, cioè la decisione russa di dare battaglia per le città, è forse alle porte", ha dichiarato Lucio Caracciolo, direttore della rivista mensile di geopolitica Limes, decano degli analisti internazionali, in un'intervista al Fattoquotidiano.
"Ecco cosa cambia con le città"
Perché finora Putin e i suoi uomini hanno arrancato? Innanzitutto, i calcoli errati dello zar hanno influenzato la parte iniziale di questo conflitto. E poi, il mancato attacco al cuore delle città ha provocato massacri di civili, la fuga dei profughi con "effetti devastanti sul morale delle truppe e sull'immagine della Russia che è già devastata sul piano internazionale". In questo senso occorre un cambio di passo: se i russi hanno raggiunto soltanto obiettivi parziali dopo due settimane, impone loro un cambio di passo e "qualche vittoria tattica che permetta una maggior forza al tavolo di negoziazione", sottolinea Caracciolo.
Insomma, se il presidente russo ha intenzione di congiungere il Donbass con la Crimea "ancora non ci siamo": se prima le grandi città non saranno conquistate (Kiev su tutte), sarà molto complicato aver ragione di un avversario sempre più movitato dall'evoluzione della guerra e incoraggiato dal mondo occidentale che lo sostiene all'unanimità. Se il conflito superasse il mese "sarebbe una guerra non vinta, per usare un eufemismo, perché i tempi sono decisivi, checché ne pensino i russi. Dalle immagini delle colonne di carri a nord di Kiev si vede un esercito russo in attesa", aggiunge l'esperto di geopolitica.
Il doppio errore dell'esercito russo
Alla domanda sul perché ci sia stata questa lentezza da parte dei russi, Caracciolo fa riferimento a due errori di fondo: il primo è l'errata convinzione dei russi che sarebbero stati "accolti" da Zelensky a Kiev quasi a braccia aperte, idea stranamente contemplata anche se fuori da ogni logica. Oltre al leader, c'era la convinzione (anche questa errata) che "gli ucraini li avrebbero accolti in modo più positivo. Tutto questo complica l'equazione di Putin". Il vero braccio di ferro comincia adesso perché i tempi stringono: se vogliono arrivare ad un negoziato serio sul campo, i russi dovranno invadere le città evitando una carneficina e dando prima il via ai corridoi umanitari.
Cosa vuole l'occidente unito
Anche in questo caso, l'Ue e gli Stati Uniti vicini all'Ucraina e contro la Russia può avere un doppio significato: liquidare Putin una volta per tutte anche se "richiederebbe un grande impegno che l'opinione pubblica difficilmente accetterebbe", oppure provare a ottenere "una qualche forma di compromesso con Putin in sella, e un precario equilibrio dell'Ucraina". Insomma, pari e patta. L'importante, per tutti, è che non si "scavalli" rischiando guerre nucleari o una guerra mondiale. Finirla il prima possibile cercando di rimettere a posto (non sarà facile) i tasselli. Infine, Caracciolo fa un passaggio anche sull'invio delle armi agli ucraini, che già prima della guerra erano stati addestrati a da Stati Uniti, Gran Bretagna e Turchia.
"È sempre esistita una connessione effettiva tra i Paesi Nato e l'Ucraina. E del resto è stato questo uno degli elementi che ha indotto Putin a una guerra destinata a finire in modo tragico per la Russia", conclude.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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