Morti due alpinisti italiani sul monte dell’arca di Noè

Il freddo è costato la vita a Caterina Fruttero e Franco Pacifico, rimasti bloccati da una tempesta sull’Ararat

Marco Traverso

da Torino

La montagna è come un’amante appassionata. Ti seduce al punto da farsi dedicare un’intera esistenza. Poi d’un tratto ti abbandona, ti tradisce e in quel momento capisci che non c’è più nulla da fare. Guai a darle troppa confidenza. Lo sapeva bene anche Franco Pacifico, il presidente del Cai di Savigliano (Cuneo), il cui cadavere è stato ritrovato ieri sul monte Ararat in Turchia.
Salgono così a due le vittime della sfortunata spedizione intrapresa per festeggiare i 60 anni del Cai saviglianese. La prima vittima, infatti, era stata Caterina Fruttero, di 55 anni, morta per assideramento. Gli altri nove componenti del gruppo partito dall’Italia per la spedizione stanno bene. Il gruppo era partito dall’aeroporto di Malpensa il 29 agosto. Obiettivo: raggiungere la vetta del monte Ararat, a quota 5mila e 165 metri. Il monte dove, narra la leggenda, si sarebbe depositata l’Arca di Noè dopo il diluvio universale.
Il programma era stato stabilito nei minimi dettagli: arrivo a Istanbul, poi il trasferimento in Anatolia occidentale, a Erzurun, e di qui in marcia verso i 2.250 metri di Elikoy. Poi tre giorni di cammino per raggiungere i campi base indispensabili per ambientarsi a quelle altitudini. Giovedì la tragedia a poche centinaia di metri dal traguardo. Nessuno, nemmeno l’esperta guida che li accompagnava, pensava che d’improvviso si sarebbe scatenato l’inferno. Una tempesta di neve tanto violenta quanto improvvisa, da far perdere l’orientamento anche alla guida. A quel punto la ricostruzione si fa sommaria, ancora incerta: un gruppo con Domenico Magnaldo, Rosaria Fruttero di Savigliano, Mariella Tomatis, architetto con il marito Luigi Cencio, Martino Vighetto e la moglie Franca Fissore, Dina Bertola e Marcello Quaglia decide di seguire un percorso mentre Franco Pacifico, Carla Daniele e Beppe Peretti tentano un’altra strada. Ma Rosaria Fruttero non ce la fa, il freddo è troppo intenso e l’assideramento inesorabile. I compagni cercano di rianimarla, di salvarle la vita, ma è tutto inutile. A quel punto decidono di scendere a valle lasciando il corpo della donna in quota. Poi, al dolore per la perdita di Rosaria si aggiunge l’angoscia per la sorte dei tre compagni dispersi. Una speranza però c’è: la presenza di Pacifico, uno che alla montagna dà del tu, uno che sa come cavarsela. Invece, ironia della sorte, sarà proprio l’esperto alpinista a soccombere. Forse, dicono a Savigliano, proprio perché è stato l’ultimo a scendere, come faceva di solito, per assicurarsi che i compagni fossero tutti in salvo. Il suo corpo è stato ritrovato ieri, quasi a valle, segno che Pacifico aveva trovato la via del ritorno ma, con tutta probabilità, è stato vinto dal freddo e dalla stanchezza. A diffondere la notizia del ritrovamento della salma del presidente del Cai di Savigliano è stato il governatore della città turca di Agri.
Nella città del Cuneese non si parla d’altro. Tanta commozione alla notizia che Franco non ce l’aveva fatta. Nella sede del Cai il telefono non smette di squillare. Chiamano amici, parenti dei componenti della spedizione, ma anche tante persone comuni desiderose di lasciare un messaggio di cordoglio. «Era una persona straordinaria, un maestro, una persona speciale – ricorda l’amico di sempre, Matteo Lucca, del direttivo del Club alpino italiano -. Nella sua vita aveva scalato numerose montagne ben più impegnative dell’Ararat, come il monte Bianco e il Kilimangiaro. Il prossimo anno voleva andare a Santiago per percorrere il cammino di Compostela. Non si fermava mai». A fermarlo è stata quella montagna che lui tanto aveva amato.

Tanti ricordi, quelli di una vita all’inseguimento di nuove vette, di viaggi per conoscere luoghi, persone, sempre alla ricerca di nuovi obiettivi. «Per noi era un’istituzione – continua Lucca – sempre presente, un vero personaggio a Savigliano. Ci mancherà davvero».

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