Giorgia ogni volta a Sanremo la candidano subito alla vittoria.
«Ma no, il Festival lo devono vincere i pischelli, io ho già dato. Più che vincere, il mio obiettivo è convincere con la canzone».
Scritta da Blanco con Michelangelo.
«Oggi cercare le parole giuste è molto più difficile di vent'anni fa. Loro due hanno comunque una classicità che mi ha sorpreso».
La vera sorpresa è rivederla in gara a Sanremo.
«Non era previsto. Ma dopo che ho sentito La cura per me qualcuno ha detto: La mandiamo a Carlo Conti?».
L'hanno mandata et voilà. Al primo ascolto, il brano di Giorgia è una sontuosa dimostrazione di superiorità vocale che, come spiega lei, è una miscela «tra la Giorgia di ieri e quella di domani». Ne parla rilassata davanti ai giornalisti sfoggiando una forma invidiabile («Ho 53 anni che porto benissimo», ironizza) e la consapevolezza di essere in una nuova fase. Stavolta festeggia i 30 anni di Come saprei, che ha vinto nel 1995 davanti ai brani di Morandi e Fiorello «perché a volte accadono cose inspiegabili» sorride. Ma non solo. Giorgia Todrani, romana classe 1971, raro esemplare di voce duttile e cristallina, celebra anche il rinascimento eclettico di un'artista che ha finalmente allargato il proprio talento a macchia d'olio. Ha debuttato come doppiatrice in Oceania 2, ha cantato (di nuovo) per Ozpetek nel film Diamanti, ha presentato X Factor e probabilmente lo presenterà di nuovo «anche se sarei un po' più sciolta nei live, però il copione me lo imparo sempre a memoria eh». Finirà che presenterà pure il Festival.
Anche Nek dice che sarebbe pronto a farlo. Conduzione a due?
«Non è una brutta idea. Antonella Clerici mi dice che sono brava a presentare».
A proposito, lei sarà all'Ariston nella prima sera.
«Ah sì, che bello».
Se Giorgia presentasse Sanremo sarebbe anche direttore artistico?
«Mi spaventerebbe ma, sì, alla fine difenderei le mie scelte».
Dov'è rinata Giorgia?
«Due anni fa al Festival. I risultati non sono stati bellissimi, ma io in quei giorni ho ritrovato la scintilla che pensavo di aver perso. Quello è stato per me un Sanremo soprattutto interiore, era la prima uscita dopo il Covid, la prima sera ero emozionata che manco a 20 anni».
Quest'anno le canzoni in gara sono più introspettive e meno «sociali».
«Ho la sensazione che in questi contesti non si affrontino certi temi semplicemente perché non se ne ha voglia, vista la realtà che abbiamo intorno».
Ci sono sempre poche donne in gara.
«Sono contraria alle quote rosa. La parità dovrebbe venire naturale. Certo, se le donne smettessero di considerarsi panda in estinzione e se imparassero a fare più gruppo...».
Nel pop succede.
«In effetti le donne del pop dimostrano di sapersi alleare, vedi i concerti di Una nessuna e centomila...».
Trump?
«Certe cose che dice, specialmente sull'ambiente, mi fanno un po' paura. Lo trovo un po' passato. Però è anche vero che il democratico Biden poi non ha cambiato granché».
Musk?
«Non l'ho ancora capito. Ho una Tesla, magari la venderò» (sorride - ndr).
«Mi rendo conto che nel suo ruolo debba sostenere responsabilità impressionanti».
Alle prove l'orchestra le ha tributato una standing ovation.
«Non ho visto se i maestri si siano alzati. Di certo mi hanno applaudito».
L'autotune?
«Ho chiesto di usarlo a Sanremo».
Davvero?
«Sì ma tutti ridevano, pensavano scherzassi. Ma se il mio fonico impara a usarlo, quasi quasi lo uso come strumento, non per correggere l'intonazione».
Nel rap spesso si dovrebbero correggere certe sbandate misogine.
«L'arte rispecchia il momento che viviamo. A me piace Mostro, che ha una scrittura violenta. Ma i giovani hanno un modo di ascoltare i brani diverso dal nostro. Questa generazione non vive di ideali o propaganda».
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