Domenica sera, tornando dal lago Maggiore, sulla strada della Valganna - che è una minuscola strada in mezzo ai boschi - ho dovuto allimprovviso arrestarmi. Cera stato un incidente. Almeno dieci automobili si erano fermate, e tutti erano scesi per soccorrere la vittima, ferita. Era un cerbiatto. Sanguinava, ma era vigile. Una dozzina di persone lo accudivano in attesa dei soccorsi.
Lepisodio mi è tornato in mente ieri quando ho visto, su Internet, lagghiacciante filmato dellesecuzione del musicista romeno ucciso per errore dalla camorra a Napoli. Luomo viene colpito in strada. Ferito, cerca rifugio scendendo nella stazione della metropolitana. Qui nessuno si ferma per soccorrerlo. Anzi, tutti scappano via il più in fretta possibile, lurgenza è superare i tornelli, ed è grottesco limprovviso senso civico che porta molti a preoccuparsi di obliterare il biglietto. Accanto al povero cristo resta solo la moglie, che urla disperata fino a quando luomo muore forse come un cane, sicuramente peggio di un cerbiatto.
Ci sarebbe da chiedersi a quale punto siamo arrivati noi umani se la solidarietà scatta per un animale e non più per i nostri simili. Qualcuno darà la colpa alla crisi; al fatto che non cè più religione; allimmancabile tv. Ma temo che non ci sia niente di nuovo sotto il sole. Luomo è una creatura talmente complessa da poter spaziare dalle vette più alte dellamore a quelle - purtroppo più frequenti - del peggior egoismo. Non cè da stupirsi se una piccola folla assiste un cerbiatto e una grande folla abbandona un proprio fratello al suo destino. Lanimale fa meno paura. Lessere umano può portarci via qualcosa, fosse solo la scocciatura di dover chiamare la polizia e di essere poi chiamati a testimoniare. È nei confronti dei nostri simili che scatta il mors tua, vita mea. E non da oggi, non da questi nostri tempi di cinismo e di indifferenza. Il 22 gennaio del 1943 Leo Longanesi appuntava sul suo diario questo colloquio udito sul tram: «Credete che a Roma verranno a bombardarci?». «A Roma no, a Roma cè il papa e poi Roma è troppo bella...». «Credo anchio. Meglio che bombardino Milano». «Lunità dItalia - chiosava Longanesi - poggia su questi ideali».
Così siamo fatti. E il rischio - per noi che scriviamo, commentiamo, giudichiamo - è quello di tirarci fuori. Mi sono più volte chiesto, ieri, se io mi sarei fermato. Non lo so. Sicuramente avrei avuto paura. E se i killer fossero ancora nei dintorni? Se lo stessero inseguendo per dargli il colpo di grazia? E poi, chi sarà davvero questuomo crivellato di proiettili? Non sarà forse anchegli un camorrista? Che se li sbrighino fra di loro, i conti: perché immischiarsi?
Così siamo fatti, e in questo ragionare meschino cè tutta la nostra miseria, il nostro voler tornare al più presto nel nostro piccolo e sicuro mondino. Siamo tutti pronti a tuonare contro la camorra: ma quando Roberto Saviano ha cercato casa non cè stato condominio senza inquilini che obiettassero, eccepissero, ponessero il veto.
La morte del musicista romeno ci rivela fra laltro proprio questo. Che larma più micidiale della camorra - così come della mafia o dei terroristi - non è il piombo ma è il suo saper attingere ai nostri istinti più bassi. Cioè al nostro voler starne alla larga, possibilmente senza neppure guardare.
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