Nuovo giorno, nuovo scandalo. A Cesena, un educatore di un centro estivo ha pubblicato sui social una foto mentre baciava un ragazzo. Il parroco, dopo aver visto l'immagine, lo ha convocato e gli ha detto che avrebbe potuto continuare ad organizzare il grest, ma senza dirigerlo. L'educatore non ha accettato la proposta e ha fatto saltare il banco. O faccio il protagonista (il solito problema delle parrocchie, che ormai vengono vissute come piccoli palcosceni del proprio ego) o niente. E così, mancando pochi giorni all'inizio del centro estivo, la diocesi non ha potuto far altro che cancellare le attività e chiedere alle famiglie di mandare i propri figli in un altro grest, poco lontano. Questa la cronaca, così come l'ha raccolta Il Corriere della Sera, che titola: La diocesi annulla il centro estivo. Ora, così non è. Innanzitutto perché la Diocesi ha provato a trovare una soluzione che tenesse conto di tutto: dell'impegno del ragazzo, delle necessità organizzative dei genitori e della dottrina morale della Chiesa. Questa richiesta, però, è stata rspedita al mittente dall'educatore stesso, che è dunque il vero responsabile dell'annullamento del campo estivo.
Partiamo infatti dall'assunto che, se decidi di svolgere un ruolo in parrocchia, dovresti almeno sapere quali sono le regole del gioco. La Chiesa su questo è chiara: "Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni, la Tradizione ha sempre dichiarato che 'gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati'. Sono contrari alla legge naturale. Precludono all'atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati". Non le persone, sia chiaro. Ma gli atti. Tant'è che il Catechismo della Chiesa cattolica afferma: "Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza". Ed è quello che fa la Chiesa. Anche, e soprattutto, quando riprende un ragazzo che pubblica una foto così in rete. Si tratta di coerenza. Di educazione, che significa appunto "tirar fuori", "guidare", "condurre".
Per la Chiesa le persone omosessuali non rappresentano un problema, come una certa vulgata progressista vorrebbe far credere. Una delle pagine più toccanti su questo tema l'ha scritta Oscar Wilde, oggi paladino gay, ma che in realtà passò tutta la vita a tormentarsi camminando verso San Pietro e che, alla fine, morì cattolico. Anche lui, per un certo periodo della sua vita, ha ostentato la propria omosessualità. Era un vezzo, in un'epoca, quella vittoriana, in cui si coprivano le gambe dei tavoli perché ricordavano quelle delle donne. Era una trasgressione che Oscar aveva deciso di portare sulle proprie spalle, anche ferendo la moglie (che amava) e i figli (per i quali stravedeva). In carcere, Wilde scrive il De profundis, la più tragica delle sue opere, che nel titolo evoca il Salmo 130 e che è una delle più belle preghiere che si possano recitare prima di addomentarsi la sera. In esso, Oscar scrive al suo ex amante e afferma: "Solo nel fango ci incontravamo. (...) Mi rimprovero per la completa depravazione etica a cui ti permisi di trascinarmi". C'è dolore e sofferenza in quelle parole. Quasi un senso di inganno. Come ha potuto il cuore di quel gigante buono sporcarsi così? Un tema che Wilde sviscera in un'intervista al Daily Chronicle poco prima di morire: "Buona parte della mia perversione morale è dovuta al fatto che mio padre non mi permise di diventare cattolico. L'aspetto artistico della Chiesa e la fragranza dei suoi insegnamenti mi avrebbero guarito dalle mie degenerazioni. Ho intenzione di esservi accolto al più presto". Perché la Chiesa, così ferma nelle sue posizioni da duemila anni, non fa altro che questo: offre valori che possono essere accettati o meno. È il singolo che deve pronunciare il suo sì (o il suo no). Ed è per questo che Wilde diceva che "la Chiesa cattolica è per i santi e i peccatori; per le persone rispettabili va benissimo quella anglicana". Non ci sono vie di mezzo per il cattolicesimo. O si punta alla sanità (sapendo che si cadrà tante volte) oppure si è già sconfitti ("Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca"). L'ascesi è per tutti. Ed è diversa per ognuno di noi. Non ha dunque senso piangere perché la Chiesa si è comportata da Chiesa.
Come non ha senso piangere di fronte a quello che è un reato. In questi giorni si sta assistendo a una polemica folle sui figli nati tramite utero in affito (e no, non cambia niente usare l'espressione, più dolce e orecchiabile, "gestazione per altri"). La tecnica di chi vuol sovvertire la legge, sia essa naturale o giuridica, è sempre la stessa: si prende il caso pietoso e lo si usa come una bandiera. È già successo con l'aborto (si pensi al caso Seveso dove, subito dopo la nube di diossina, i radicali arrivarono in massa per terrorizzare le donne incinte e invogliarle ad ammazzare i propri figli), con l'eutanasia (si pensi a Eluana Englaro e Piergiorgio Welby) e ora con le mamme di Padova. Si punta a commuovere.
A sfidare la legge e, molto spesso, a non rispettarla. Il tutto in nome dei diritti. Senza mai però pensare ai doveri. Perché l'importante è lo scandalo. La tensione perenne. Il piangersi sempre addosso.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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