Mentre scrivo è il 7 marzo, la vigilia della festa della donna. Temo e tremo al pensiero della retorica femminista (che con le donne ha ben poco a che fare), della liberazione del sesso, dell'utero che è mio e me lo gestisco io, dei diritti negati e delle parole proibite. E pure a quello delle donne che si sentono uomini o degli uomini che si sentono donne e tutti e due (o quattro, ho perso il conto) vogliono festeggiare l'8 marzo. O lotto marzo, come ama scrivere Non una di meno. Perché alla fine non contano i geni e neppure la natura. Conta solamente ciò che ti senti. Un po' come il tizio che ha deciso di spendere tutti i suoi quattrini per diventare un cane o quello che ha preferito usarli per diventare un alieno. È la confusione al potere. Il caos totale.
Per fortuna, all'onda femminista si può resistere. Anzi: si deve. E così, prima di cadere nello sconforto, rileggo il libro di Raffaella Frullone, Presidenta anche no! Resistere al fascino del neofemminismo (Il Timone): un saggio che ripercorre le tappe che ci hanno portato fin qui, sull’orlo dell’abisso. Già, perché se oggi dobbiamo fare lo slalom tra un numero spropositato di generi, parole tabù, schwa e asterischi è perché qualcuno, e non si tratta di fare becero complottismo, ha voluto poco alla volta portarci esattamente dove ci troviamo oggi. E noi non ce ne siamo nemmeno accorti. "Subito dopo la caduta del Muro di Berlino, nel 1989, l'Onu ha iniziato a lavorare per raggiungere un consenso mondiale su alcuni nuovi valori. In una serie di grandi conferenze internazionali che si succedettero tra il 1990 e il 1996, tra cui quella sulla cooperazione e lo sviluppo del Cairo del 1994 e quella sulle donne del 1995 a Pechino, il gender, già entrato nel linguaggio degli Stati membri dell'Onu all'inizio degli anni Novanta grazie ad alcune correnti femministe - sfondò definitivamente", si legge in Presidenta anche no! Resistere al fascino del neofemminismo.
E così, quella che all'inzio era una rivoluzione, un cambio di paradigma, per le donne, lo è diventata per tutte le minoranze, più o meno oppresse, che non appena sono arrivate al potere hanno cominciato a comportarsi da dittatori. Ed è in questo senso che l'8 marzo rappresenta, più che un giorno in cui ringraziare le donne per esserci, una vera e propria dichiarazione di guerra. Perché, come scrive la Frullone (ho controllato nel libro e si può mettere l'articolo femminile prima del cognome di una donna), "l'esito più infausto del pensiero femminista è stato quello di riuscire a minare un'alleanza, quella tra uomini e donne, e di aver fatto in modo che i due sessi si guardassero in cagnesco, si misurassero l'un l'altro come ci si misura sul posto di lavoro, in attesa di un passo falso, che prima o poi fisiologicamente arriva. Ma la vita non è una eterna competizione di maschi contro femmine, al contrario un gioco di squadra dove se uno dei due sessi perde, perdono tutti.
E infatti abbiamo iniziato a perdere tutti quando la bussola di ciascuno di noi è diventata il benessere personale e non più il sacrificarci per l'altro, per il bene della squadra".Siamo in guerra, quindi. Anche se noi attendiamo con ansia l'armistizio tra uomini e donne.
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