C’è una sola cosa più insidiosa della censura: l’autocensura. Cioè il controllo preventivo che una persona esercita su se stessa per conformarsi al pensiero che pensa predominante. Contestualizziamo: Milano, città degli affari, della moda, dei grattacieli e del design. Milano internazionale, certo, ma anche salottino chiuso e autoreferenziale, ultimo avamposto di una sinistra talmente provinciale e residuale da far apparire la ztl una prateria. Mercoledì sera Andrée Ruth Shammah, fondatrice e direttrice del Teatro Parenti ed esponente di spicco della Milano bene, racconta con un post su Facebook la rapina che ha subito nel pieno centro del capoluogo lombardo, a due passi da piazza Affari: «All’uscita da via Santa Marta verso Cordusio per prendere un taxi un ragazzo piccoletto si è avvicinato per chiedermi una sigaretta, poi mi ha messo una mano sul collo e mi ha strappato la collana. Sono sotto shock. Non voglio avere paura per strada a Milano in centro!».
Come prevedibile seguono al post decine di commenti di cittadini indignati per l’allarme sicurezza. A quel punto Shammah - la quale probabilmente pensava che i suoi seguaci proponessero lo scippatore per il prossimo Ambrogino d’oro - rimuove tutto quello che ha scritto. Come se non fosse accaduto nulla. Poche ore dopo, sempre via Face book, arriva la spiegazione: «Viste le reazioni del tipo Milano come il Bronx, ho pensato doveroso cancellare il post. Non sono d’accordo che un episodio, anche molto sgradevole come ne succedono in tutte le città del mondo, butti una luce negativa sulla mia amata Milano».
Insomma: vietato parlare male di Milano, vietato disturbare il conducente specialmente se, come nel caso del sindaco Sala, ha la guida a sinistra. Provate a indovinare: quale sarebbe stata la reazione della Shammah se a palazzo Marino ci fosse stato un primo cittadino di centrodestra? Risposta scontata. Prendiamo atto che per non infastidire appartenenti allo stesso milieu culturale bisogna edulcorare i fatti e financo negarli.
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