Il titolo sembra quello di una canzone, ma è la metafora della mezza età, ci ha spiegato la scrittrice irlandese Eimear McBride a proposito del suo ultimo romanzo Strange Hotel (trad. di Tiziana Lo Porto, La nave di Teseo, pagg. 144, euro 19): non sai quel che troverai, come quando entri in una stanza d'albergo. Ospite nei giorni scorsi della Milanesiana, la rassegna ideata e diretta da Elisabetta Sgarbi, la McBride narra di una ultraquarantenne che alla fine di un amore segue la sua lista di hotel e viaggia. In queste camere non-luoghi, tra sesso occasionale e riflessioni su giovinezza e godimento, trascorre momenti senza tempo nel tentativo di uscire da se stessa e dai propri ricordi.
Ha creato una donna che sembra voler perdere l'identità.
«Volevo sperimentare quanto è possibile togliere, nascondere o non dire al lettore. Lei sta cercando di non farci entrare, non vuole essere conosciuta. I lettori invece spingono sempre per avere il quadro completo, sapere chi siano i personaggi».
Una maschera o una rivelazione?
«È la prima volta che scrivo di una donna di mezza età. I miei primi due libri erano su donne giovani: quel che voglio, a quell'età, lo ottengo. Ma ora io stessa non son più giovane: sono diventata cauta, ci sono cose che richiedono molto sforzo per essere affrontate e su queste non voglio compiacere il lettore. Non è qualcosa di cui in letteratura si parli molto».
La protagonista in ogni camera sprofonda un po' di più, come una Alice quarantenne.
«Viaggia per il mondo, ma blocca il suo viaggio interiore, rifiuta di ingaggiarsi con la vita. Questa è la ragione per cui l'ho ambientato negli hotel, dove nessuno sa niente del tuo passato, non ci sono oggetti che te lo possano rammentare, puoi lasciarti tutto alle spalle».
E diventare diversa?
«E diventare chiunque altro. Uscire dal Paese, dalla tua lingua, dire e fare qualsiasi cosa: nessuno che ti conoscesse prima sarà in disaccordo».
Qual è la sua personale relazione con gli alberghi?
«Mi sento una straniera, in camera, ma anche a mio agio. Quello negli hotel è un tempo perduto, fatto di squisita solitudine, ma anche di noia e di alcune routine: ogni volta vai a vedere che cosa c'è nel minibar, nel bagno. Sempre le stesse cose, elementi di vita buttata, che da quando viaggio molto sono grande parte della mia, di vita. Con questo libro ho cercato di riscattarli, reclamare una loro utilità».
I giorni in albergo hanno una colonna sonora?
«Mentre scrivevo, ascoltavo i Portishead e Sibelius, The Swan of Tuonela».
Nelle camere della sua protagonista c'è molto sesso.
«Avviene fuori dalla pagina, ma volevo si sapesse. Per una donna di questa età, fare sesso sembra una trasgressione, diventa disturbante immaginarlo: non deve davvero far piacere a nessuno, non ha paura di rimanere incinta».
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