Nel pantheon Pd solo miti d'importazione

Barak Obama è il penultimo mito della sinistra italiana, è già nel pantheon del nascente Pd. L'ultimo, ma dipenderà dal ballottaggio e dalle successive elezioni legislative francesi, potrebbe essere François Bayrou

Barak Obama è il penultimo mito della sinistra italiana, è già nel pantheon del nascente Pd. L'ultimo, ma dipenderà dal ballottaggio e dalle successive elezioni legislative francesi, potrebbe essere François Bayrou. Il senatore dell'Illinois è giovane, è nero, aspira a chiudere l'era Bush ed è il più temibile concorrente di Hillary Clinton per la nomination democratica. Come capita a tutti, però, ha già commesso un errore. L'altro giorno parlando al Chicago council on global affairs ed illustrando la sua visione del mondo non solo ha proposto un rafforzamento delle forze militari degli Stati Uniti, ma ha anche detto che «nessun presidente americano dovrebbe esitare ad usare la forza - unilateralmente, se necessario - quando i nostri interessi vitali sono attaccati o direttamente minacciati».

Qui in Italia nessuno dei suoi fans lo impiccherà per questo cedimento ad un concetto - l'unilateralismo - che è considerato nel programma di governo dell'Unione l'origine dei mali del mondo di oggi. Si farà finta di niente, come si fece con Bill Clinton. Lo si continuerà a considerare, almeno finché serve, come un «compagno di strada», come la prova vivente dell'esistenza dell'«altra America». Per una sinistra senza idee, Obama è una necessità vitale. In queste ore è un po' oscurato dalla scoperta dell'«altra Francia». Ma il rito è lo stesso: assumere nel dibattito italiano questo o quel «grande nome» straniero del momento. Prodi, D'Alema, Fassino, Rutelli hanno passato l'ultimo week-end tra Firenze e Roma a discutere sul significato storico del costruendo Partito democratico, lunedì hanno iniziato la settimana trasferendosi sulle sponde della Senna e collocando Ségolène Royal e François Bayrou nelle loro piccole geometrie. Continuano a cercare di costruire un mondo a propria immagine e somiglianza. Un mondo che naturalmente non esiste. Non è provincialismo. È il gioco del pantheon moltiplicato all'infinito. È la costruzione di un'identità attraverso leadership straniere, naturalmente prescindendo da quello che queste leadership sono, da quello che dicono, dai loro stessi programmi.

Il gioco è vecchio. Iniziò con Tony Blair, anche se ormai i nostri blairisti si sono estinti. Poi, quando Lula vinse le elezioni brasiliane, tutti diventarono lulisti. Zapatero ha potuto vantare il maggior numero di tentativi di appropriazione. Ora ci sono la Royal e Bayrou, che hanno rubato per un momento la scena a Obama. In ciascuno di loro si specchia un «nome» dell' Unione: Fassino, con entusiasmo, nella candidata socialista francese, Prodi e Rutelli nel «centrista», Veltroni - unico cosmopolita rimasto nell'Unione - nel senatore dell'Illinois. Naturalmente a questi referenti viene tagliato un «abito italiano». E sono presentati come costruttori a distanza di un Partito democratico che qui è circondato dalla diffidenza, segnato dagli esodi, criticato a destra e a manca e quotato nei sondaggi a percentuali deludenti.

Come dire che la sinistra più vuota dell'Occidente - del resto nessuno ha mai definito Blair il Prodi britannico, Lula il D'Alema brasiliano, la Royal la Fassina francese, Bayrou il Rutelli transalpino e così via - confessa di essere la prima a non credere in se stessa.

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